L’incendio è uno degli eventi più catastrofici che un ecosistema possa subire. Quando un territorio prende fuoco non è soltanto l’albero, l’arbusto, l’animale a scomparire, ma anche tutte le funzioni di regolazione dell’ecosistema di cui l’uomo stesso è parte integrante, oltre che beneficiario.
Il fuoco può dare luogo a un’ampia gamma di effetti sia a breve che a lungo termine. La scomparsa della vegetazione interrompe la produzione di ossigeno e l’emissione di vapore; le polveri non vengono trattenute e il vento non è più ostacolato, aumenta il dilavamento del suolo e l’evaporazione dell’umidità.
Nei pendii, l’incendio aumenta il rischio di frane superficiali e smottamenti. Le piogge, non trattenute dalle piante, tendono a erodere il terreno e le acque scendono rapidamente verso valle, aumentando le portate di fiumi e torrenti e favorendo inondazioni.
In Italia, nell’ultimo decennio, sono stati colpiti da incendio circa mezzo milione di ettari, oltre il 6% della superficie forestale nazionale. Il danno economico è stato valutato in oltre un miliardo di euro all’anno limitando l’analisi a produzione legnosa, funzione ricreativa, tutela idrogeologica e servizio di stabilizzazione climatica. Il numero di incendi in Sardegna è nell’ordine di dieci volte maggiore di quello riscontrato nel resto d’Italia, mentre la superficie percorsa totale la supera per valori compresi tra sei e dieci volte.
Altra conseguenza del fuoco è il trasferimento all’atmosfera di una porzione significativa di circa 200 composti (metano, idrocarburi, monossido e biossido di carbonio, ossidi di azoto e particolato), che derivano dai processi di combustione incompleta della cellulosa e della lignina, ai quali si aggiungono resine e olii contenuti in varia misura nella vegetazione e nel suolo che possono causare cambiamenti nello stato chimico dell’atmosfera. Alcuni dei gas prodotti sono direttamente implicati nelle trasformazioni ambientali note come global change, partecipando all’effetto serra.
Gli effetti sulle comunità animali sono sia diretti che indiretti. Quelli diretti derivano dall’azione delle fiamme e della temperatura e si manifestano con modalità di risposte dipendenti dal grado di mobilità degli animali. Gli animali mobili possono fuggire nelle aree limitrofe prima dell’arrivo delle fiamme ma quelli immobili, che non hanno zone di rifugio, sono destinati a soccombere.
Gli incendi incidono in modo drammatico sul ciclo riproduttivo degli animali, in quanto appare evidente che se l’adulto può trovare una via di fuga, le cose stanno diversamente per cuccioli, nidiacei e ancora per le uova nei nidi che non avranno scampo. Le fiamme, indirettamente, modificando il paesaggio fanno venire meno, anche in seguito, gli habitat necessari alla riproduzione, le cavità ove nidificare o le tane dove poter partorire e allevare i piccoli oltre che le molteplici fonti di nutrimento. Senza fiori mancano gli impollinatori, di conseguenza gli insettivori, ma anche gli erbivori e i predatori.
La vegetazione erbacea ha un immediato picco durante tutto il primo anno successivo all’incendio, soprattutto in aree con incendi frequenti, che genera una uniformità di paesaggio a discapito della biodiversità. Le bonifiche necessarie stravolgono completamente l’intero ecosistema e il cambiamento del microclima, l’innalzamento dell’escursione termica, la ventosità e la modificazione dell’umidità al suolo rendono la ricolonizzazione estremamente lenta e difficoltosa.
Un primo apporto nutritivo per la ripresa è rappresentato dalle carcasse animali e vegetali che apportano sostanze al suolo e attirano decompositori e necrofagi. I rapaci, che in genere si salvano facilmente dalle fiamme, hanno anch’essi difficoltà: non trovando prede si cibano dei pochi piccoli mammiferi o rettili scampati al fuoco, limitandone fortemente la presenza.
L’andamento della ripresa vegetale ha una grande influenza sul ripopolamento della fauna. I primi colonizzatori sono i decompositori, che favoriscono il ripristino del suolo. La crescita dei primi germogli induce la presenza di insetti, piccoli insettivori, erbivori e infine grandi predatori. Gli erbivori in genere, subiscono un drastico declino nell’immediato ma temporaneo: potrebbero essere eliminati nel caso di fuoco intenso ma la modifica del paesaggio in vegetazione erbacea li induce a ripopolare per primi l’area. La presenza di grandi erbivori però, a sua volta, influenza lo sviluppo vegetale, gli arbusti maggiormente appetiti subiscono un forte rallentamento favorendo la crescita di specie meno gradite.
In passato, a un incendio, seguiva spesso una fase di rimboschimento nella quale si privilegiavano specie vegetali a maggior rapidità di crescita, anche se non autoctone. La grande diffusione dei boschi di conifere è dovuta principalmente a questo genere di intervento. Con gli anni si è visto però che tale scelta comportava troppe modifiche sostanziali, il suolo avvelenato dal rilascio di sostanze tossiche cambiava drasticamente il paesaggio con perdita di biodiversità.
La recente tendenza è ora volta alla cura di una ricrescita spontanea che privilegi specie preesistenti e salvaguardi gli apparati radicali scampati al fuoco. Ciò fa in modo che si sviluppi una vegetazione di specie pirofite (la cui germinazione è stimolata dalle alte temperature), quali il cisteto, le numerose specie erbacee con bulbi e rizomi sotterranei e quelle con grande capacità pollonifera. Questo poi evolverà in macchia a corbezzolo e erica mettendo le basi per il successivo sviluppo del bosco originario. Il processo di ripristino ha una durata di circa un ventennio per la gariga o la macchia mentre occorre aspettare almeno 35 anni per poter godere di nuovo del bosco.
Un immenso patrimonio ambientale può andare in fumo in poche ore.