Divertirsi, usare l’immaginazione, vincere, perdere, trascorrere attimi di spensieratezza, svago e allegria, al chiuso o all’aperto, da soli o in gruppo, senza avere la percezione di un tempo che da piccoli sembra non passare mai e che lascia poi ricordi indelebili nella vita adulta, in una parola sola: giocare.
Oggi, 28 maggio, si celebra la Giornata Mondiale del Gioco, ricorrenza nata negli anni Novanta da un’idea di Freda Kim, presidente dell’International Toy Library Association (l’Associazione Internazionale delle Ludoteche) e poi ufficialmente istituita dalle Nazioni Unite nel 1998.
L’art. 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia riconosce al fanciullo “il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale e artistica”.
È fondamentale riconoscere il valore del gioco come risorsa educativa, in grado di favorire la socialità e l’inclusione, con risvolti terapeutici anche per bambini e ragazzi con disabilità, sensibilizzando così l’opinione pubblica sui suoi effetti positivi.
Ma questa giornata può essere anche l’occasione giusta per riflettere sull’evoluzione che i giochi hanno conosciuto nel corso del tempo, da quelli più antichi e semplici, realizzati con materiali naturali e facilmente reperibili, a quelli più sofisticati e tecnologici dei giorni nostri.
Ripercorrendo il magico mondo dei balocchi della tradizione sarda, un posto speciale occupa da sempre su Barralliccu, un giocattolo di legno che veniva utilizzato come trottola o dado.
Le origini di questo gioco sono incerte, pare che fosse già conosciuto ai tempi dei Greci e dei Romani e che si diffuse poi in tutta Europa, seppur con nomi diversi, tanto da diventare molto importante in Germania nel 1500. In Italia era presente una versione anche nel Friuli Venezia Giulia, dove veniva chiamato “tuto”, mentre in Sardegna era conosciuto soprattutto nel Campidano di Cagliari e fu sicuramente ispirato dall’omonimo gioco di tradizione giudaica del “sevivon” o “dreidel”, praticato in occasione della festa dell’Hanukkah dai numerosi ebrei presenti, fino alla fine del Quattrocento, in quella zona dell’Isola.
Ma come era fatto su barralliccu? Questa antichissima trottola poteva essere realizzata direttamente a mano ed era composta da una sorta di cubo di legno con più facce, al centro del quale sporgeva un perno, in legno o in ferro, la cui estremità più alta veniva utilizzata come manico, mentre quella più bassa come punta grazie alla quale veniva fatto ruotare per dare vita alle avvincenti sfide del gioco di “su pipiriponi”.
Sulle facce di legno erano incise delle lettere: la T che stava per “tottu” (tutto); la M che significava “mesu” (metà); la N “nudda” (nulla); la P “poni” (metti).
Il gioco era molto semplice, non richiedeva particolari capacità ed era adatto anche ai bambini piccoli. Si giocava con almeno due giocatori, ma più era alto il numero dei partecipanti più ci si divertiva. Ciascun giocatore, dopo aver puntato una noce o ciò che costituiva la posta in gioco – mandorle, nocciole, fichi secchi, castagne, mandarini o persino monete -, faceva ruotare a turno su barralliccu, sul tavolo o sul pavimento, con la spinta del pollice e dell’indice, osservando poi su quale faccia cadesse il dado. In base alla lettera che capitava il concorrente di turno conosceva l’esito del suo colpo: se usciva la lettera “T” prendeva tutto quello che c’era sul piatto e tutti gli altri dovevano rimettere una noce; se otteneva la lettera “P” doveva mettere lui stesso una nuova noce sul piatto, raddoppiando dunque la posta; con la lettera “M” aveva il diritto di prendere la metà della posta che era presente in quel momento; con la lettera “N”, invece, non perdeva e non vinceva nulla.
Una volta svuotato il piatto, i giocatori dovevano decidere se ricominciare a puntare o far terminare il gioco.
Tanto affascinante quanto imprevedibile, si trattava sicuramente di un gioco basato più sulla fortuna che sull’abilità. I bambini erano soliti giocare tra di loro, trascorrendo così piacevolmente le lunghe giornate estive, usando persino conchiglie o sassolini come posta in gioco, ma era uno degli intrattenimenti maggiormente scelti anche tra i parenti in occasione delle festività, con cui davano il via ad avvincenti gare familiari. Un’occasione di divertimento, dunque, ma anche un modo per conservare e tramandare quel legame con la tradizione e la cultura sarda che ha continuato a resistere nel tempo.
Al giorno d’oggi, qualche falegnameria artigiana ancora produce questa famosa trottola di legno e, in alcune zone, resiste la consuetudine di giocarci nelle notti di festa. Su barralliccu, tuttavia, sopravvive ormai principalmente nella memoria e negli aneddoti dei più anziani che ricordano, con un pizzico di nostalgia, i loro giorni più lieti trascorsi anche in sua compagnia.