Il gioco è da sempre una delle massime espressioni della cultura e della società, poiché si adatta al contesto sociale in cui avviene e perché, soprattutto, è grazie al gioco che i bambini si proiettano verso il futuro e verso il mondo degli adulti.
Nonostante la nostra sia sicuramente un’era telematica, in cui per comunicare inviamo emoji e in cui ci sentiamo persi senza tutte le massime espressioni di modernità che tanto ci fanno sentire evoluti, capita sempre più spesso che si abbia voglia di fare un tuffo nel passato per riscoprire le nostre origini.
Probabilmente le nuove generazioni non apprezzano l’essenzialità e la semplicità dei giogus antigus, presi come sono dai videogames e dalla scarsa fantasia che essi implicano, ma è giusto sapere che, per i bambini sardi d’altri tempi, la creatività trasformava semplici stracci, bastoni o pezzi di legno in strumenti di gioco imprescindibili.
Con un semplice nocciolo di albicocca forato si creava un fischietto, con qualche barattolo si potevano costruire trampoli o trenini, con le canne si realizzavano strumenti musicali, archi, fucili, carretti o trattori in miniatura e bastava qualche straccio arrotolato per ottenere una palla.
Non dobbiamo dimenticare che fino a circa sessanta anni fa, l’economia sarda si basava quasi esclusivamente sull’agricoltura e la pastorizia quindi, come in tutte le società povere, i giocattoli spesso riproducevano oggetti che avevano a che fare con quel mondo semplice, fiero e genuino.
La fantasia e il riciclo, dunque, erano gli elementi principali nella costruzione dei giocattoli antichi e gli spazi che una natura molto generosa concedeva erano i perfetti scenari.
Ed ecco alcune di quelle preziose testimonianze di creatività e ingegno dei nostri antenati sardi:
Pippiasa de canna e de zappu (bambole di canna e di pezza). Sono le antenate sarde delle bambole. Per costruirle si usavano materiali di facile reperibilità: stracci, lana, rafia e avanzi di stoffa. Uno straccio arrotolato e cucito fungeva da corpo, un altro veniva cucito posteriormente a croce per ottenere le braccia, i capelli erano generalmente di lana o di paglia e la fantasia faceva il resto: per realizzare i dettagli del volto si usavano fili di cotone colorati o bottoni e con delle stoffe avanzate si cucivano i vestiti.
Cuaddu de canna (cavallo di canna). Giocattolo tipicamente maschile formato da una canna lunga circa un metro, alla cui estremità superiore veniva applicata la testa di un cavallo realizzata a mano con un pezzo di legno intagliato o con stracci cuciti. I maschietti lo adoperavano sia per giocare da soli che in vere e proprie gare di corsa con i compagni di giochi.
Sa Bardunfula (la trottola). Si trattava di un pezzo di legno a forma conica con la punta in metallo e con scanalature intagliate, ottenuto generalmente da legno di ulivo. A questo cono si avvolgeva un pezzo di spago. Il gioco consisteva nel lanciare la trottola su un piano liscio (generalmente il pavimento), trattenendo lo spago e facendo in modo che girasse su sé stessa per più tempo possibile.
Su Stentu (dal sardo “stentai” ovvero aspettare). Una sorta di antico yo-yo. Avvolgendo un fuso realizzato con le canne a un pezzo di spago e assecondandone il movimento ondulatorio, il fuso riproduceva proprio l’oscillazione di quelli moderni.
Su Barralliccu (trottola/dado). Era a metà strada tra una trottola e un dado in legno. Al centro di questo dado veniva inserito un perno di legno o di metallo che serviva per ottenere il movimento rotatorio. Nelle facce del cubo erano incise o disegnate la lettera T (tottu, ossia tutto), la lettera N (nudda, ossia nulla), la lettera M (mesu, ossia metà) e la lettera P (poni, ossia metti).
La posta in palio erano noci e nocciole e ognuno vinceva o perdeva in base alla lettera che usciva dopo aver fatto roteare il dado. La lettera T faceva vincere tutta la posta in palio, la M solo la metà, la N nulla e la P faceva aggiungere una nuova posta.
In Sardegna, e precisamente nella ex scuola elementare ad Ales, sorge il Museo del Giocattolo tradizionale della Sardegna, una realtà unica in terra sarda e dall’incommensurabile valore storico. Tutti i giocattoli presenti sono stati creati durante un laboratorio triennale dai ragazzi della scuola media di Ales che, coordinati dal professor Nando Cossu, hanno raccolto informazioni da nonni e genitori e si sono poi impegnati nella fedele riproduzione dei giocattoli.
All’interno del Museo, i giocattoli tradizionali sono esposti su strutture modulari in canna sia per creare un percorso espositivo tra differenti settori della collezione, sia per rimanere, esteticamente parlando, il più fedeli possibile ai materiali antichi di utilizzo.
Tutti gli oggetti sono stati classificati in collezioni e sezioni in base all’attività in cui erano impiegati: vi sono armi, mezzi di trasporto, oggetti che riproducono suoni e rumori, bambole, giochi di movimento, giochi di abilità o utilizzati in specifiche ricorrenze, giochi per caccia e pesca.
Lo splendido museo, curato e gestito dalla Cooperativa Sociale Onlus Cultòur Sardegna, è visitabile dal martedì alla domenica o tramite prenotazione.
Visitare questo luogo affascinante non è quindi solo un arricchimento culturale o un riconoscimento al minuzioso lavoro di un gruppo di studenti, ma un vero e proprio viaggio nel tempo.