La parola “Torre” in Sardegna è sinonimo di pirati. Queste, infatti, più che col nome di torri costiere sono note come torri saracene, anche se di saraceno hanno ben poco. Gran parte delle circa cento torri presenti lungo tutta la nostra costa sono infatti di origine spagnola, edificate come mezzo di difesa dagli attacchi dei pirati, ma non a difesa dai saraceni visto che le invasioni dei popoli arabi del Mashriq avvennero ben 500 anni prima della costruzione di questo sistema di difesa costiera.
Il Mediterraneo è stato sin dall’antichità il mezzo per le espansioni e per il progresso economico tramite il commercio. Numerosi sono i ritrovamenti di bronzetti raffiguranti navi o quelli di relitti in prossimità della costa con ancora il loro preziosi carico di garum (salsa di pesce molto simile alla pasta di acciughe), di ossidiana, legname e metalli a testimonianza delle rotte commerciali che interessavano la Sardegna sin da epoca antica.
Insieme al commercio, in forma parallela, però si è ben presto sviluppato il fenomeno della pirateria. A iniziare dal 700 d.C. le coste sarde divennero meta di costanti razzie da parte di mori, saraceni, barbari e poi anche turchi. Le loro incursioni non erano finalizzate solo al saccheggio ma anche al rapimento (è nota la storia del bambino rapito all’Asinara che in età adulta divenne re di Algeri) e alla conquista di territori che spesso rendeva necessario alle popolazioni indietreggiare dalla costa verso l’entroterra.
Le fallimentari misure intraprese contro i barbari, uno tra i più noti è sicuramente il pirata Barbarossa, fecero decidere a Filippo II di Spagna l’adozione di un sistema difensivo costiero fatto di torri, con relativo presidio militare, collocate nei punti strategici della costa. Nacque così la “Reale Amministrazione delle Torri”, istituzione volta non solo alla realizzazione di nuove torri ma anche alla loro manutenzione, al rifornimento di armi e all’arruolamento degli uomini addetti al presidio di guardia.
Le torri non erano semplicemente collocate nella costa in prossimità dei villaggi da difendere, ma la loro localizzazione rispondeva a precisisi criteri di comunicazione. Tutta la reta costiera era regolata da un complesso sistema di comunicazione tra torri contigue fatto di segnali, in modo da tenere sempre sotto controllo l’intera costa e da dare alle popolazioni il tempo di mettersi in salvo.
Il fumo di giorno, la luce del fuoco la notte o il suono di un corno, erano capaci di trasmettere l’allarme anche ad ottanta chilometri di distanza e dove non arrivava la comunicazione visiva, veniva utilizzata la “guardia morta” una postazione mobile con una vedetta (non fornita di torre) che a piedi o a cavallo trasmetteva il segnale alla torre successiva. Da qui i vari toponimi come “Guardia del turco” o “Guardia dei Mori”.
Ogni torre era equipaggiata da un suo presidio militare, a seconda dell’ampiezza della stessa. Le piccole torri con un paio di soldati, fucili e spingarde; le medie con una piccola guarnigione e dei cannoni di media dimensione e portata, le grandi con una vera guarnigione con un capitano, 5/6 soldati, cannoni pesanti, spingarde e fucili. Questi uomini, spesso sottopagati, erano costretti a trascorrere diversi anni di servizio alla torre, nell’ordine dai sessanta ai settanta, per cui questo incarico veniva accettato spesso solo da chi non aveva famiglia.
Quasi tutte le torri hanno stessa pianta circolare, tranne quella di Porto Torres (esagonale), quella di Muravera e Nurachi (a pianta quadrata) e il complesso di piccole torri di Fortezza Vecchia a Villasimius, nato come singola torre (a pianta triangolare) alla quale sono state aggiunte in seguito quattro torrette. La costruzione delle torri circolari era quella più facilmente realizzabile e economica (non era necessario personale specializzato o scalpellini) e sopportava maggiormente l’impatto delle cannonate.
Per riuscire a vedere la conclusione degli atti di pirateria nelle coste della Sardegna, tuttavia trascorreranno lunghi secoli di terrore. Solo nel 1815, grazie al decreto di abolizione della schiavitù e alla messa al bando della pirateria, iniziò la progressiva dismissione delle torri e nel 1842, Carlo Alberto di Savoia, attuò un vero cambio di strategia di difesa militare che non prevedeva l’uso delle torri costiere.
Queste però vennero riutilizzate durante la Seconda guerra mondiale sotto forma di presidio doganale e militare, sede di impianti telemetrici e di segnalazione con il sistema dell’avvistamento ottico. La definitiva dismissione avvenne nel 1989 in concomitanza con l’Intesa Stato-Regione.
Molte torri sono giunte sino a noi in pessime condizioni di conservazione, dovuta allo sgretolamento ad opera degli eventi atmosferici: il 25% di esse è andato completamente distrutto, il 35% riversa in condizioni piuttosto precarie e questo è dovuto non solo all’attuale incuria ma anche e soprattutto alla scarsa qualità dei materiali utilizzati sin dalla costruzione. Ieri come oggi, era in opera un certo malcostume nella realizzazione di queste opere di pubblica utilità, fatto di abusi, malversazioni e relativo utilizzo di materiali di scarsa qualità e ruberie, tanto che spesso era più economico abbattere e ricostruire piuttosto che affrontare continue manutenzioni e ristrutturazioni.
Questo ha reso l’intero sistema a volte poco efficace. Con una più oculata gestione, con maggiore onestà e criterio, si sarebbero potuti limitare sprechi di denaro e probabilmente creare un sistema di difesa più efficace di quello che fu effettivamente realizzato.