Impervie, scivolose e dai lineamenti quasi inospitali: le pareti rocciose del Supramonte di Orgosolo sono un luogo dal gusto incontaminato, regno di rapaci come l’aquila reale, il grifone, lo sparviero e il falco pellegrino. Contornando il più giovane massiccio del Gennargentu, fin dal periodo prenuragico il complesso montuoso è stato testimone di esistenze umane, ma anche dipartite come nel caso della banditessa “vergine” Paska Devaddis.
Originaria di Orgosolo, Paska Devaddis ebbe una vita assai breve, che secondo alcune fonti iniziò a fine ‘800 per spegnersi nel 1913 all’età di soli 25 anni. Al di là del dato incerto, è sicuro che Paska perseguì un’esistenza all’insegna del coraggio e della determinazione, che gradualmente la resero protagonista del banditismo sardo.
Un mondo che nei primi anni del ‘900 trovò a Orgosolo tra le sue più tragiche concretizzazioni, a causa della faida scoppiata tra le famiglie Cossu e Corraine. A partire dal 1905 infatti tra i gruppi parentali iniziò una vera e propria disamistade (inimicizia), forti tensioni provocate dall’uccisione di Carmine Corraine nell’aprile di quello stesso anno e giunte all’apice dopo diversi trascorsi d’odio.
Malgrado le indagini avviate dai Corraine per scoprire il colpevole – identificato poi in un certo Eugenio Podda – avessero avuto un esito forse risolutivo, esse persero completamente di valore con l’intervento di don Diego Cossu, padre spirituale della famiglia che godeva di protezione delle autorità e che poté esercitare la sua influenza per scagionare l’assassino.
Fortemente amareggiati dall’assoluzione del Podda, i Corraine decisero perciò di dichiarare guerra aperta ai Cossu, dando inizio a quella che oggi è nota come “disamistade di Orgosolo” e facendo subentrare nel conflitto altre famiglie, tra cui i Moro, i Succu e gli stessi Devaddis. Assieme ai parenti offesi, questi ultimi, misero in atto una tattica particolarmente sanguinaria che forse ispirò in seguito anche Paska, divenuta ufficialmente nel 1912 parte attiva della faida. Fu infatti proprio in quell’anno che il suo nome comparve tra i responsabili dell’omicidio di Antonio Succu, evento che l’avrebbe marchiata a vita costringendola alla latitanza – nonostante la successiva discolpa –nelle montagne del Supramonte, dove i Devaddis avevano deciso di spostarsi per sfuggire ai Cossu e alle autorità. Una situazione che però la ragazza non riuscì a sopportare a lungo, a causa della salute cagionevole che la fece ammalare di tubercolosi e la consumò fino alla morte avvenuta nel novembre 1913.
“Supina, adagiata su una lettiga di frasche in fondo alla caverna di roccia, non avvertiva neppure il calore del fuoco acceso in un angolo e si sentiva addosso tutto il freddo della notte. Le fiamme che non riuscivano a riscaldarla erano il rogo della sua giovinezza”: così lo scrittore e poeta Franco Fresi descrive in “Banditi di Sardegna” la dipartita di Paska, fanciulla dall’animo forte sulla quale nel tempo nacquero anche diversi racconti, primo fra tutti quello sulla sua verginità.

Oltre al presunto e inaspettato ritrovamento della sua salma vestita a festa nella casa in paese, si narra infatti che in camera mortuaria i medici confermarono l’integrità dei suoi “caratteri di verginità”. Un suggestivo aspetto arricchito dal mito per cui la ragazza fosse considerata “Sa Reina di Orgòsolo e de bandidos sorre e sentinella. De sa disamistade in sa burraska in sa notte orgolesa fìd istella. Paska Devaddis reina e bandida” (La Regina di Orgòsolo, sorella e sentinella dei banditi. Nella burrasca della faida fu la stella della notte orgolese. Pasqua Devaddis, regina e banditessa) e contornato anche da altri singolari episodi, come quello che la vide difendersi da 2 carabinieri. Una volta arrivati nel Supramonte per catturarla, pare che i 2 uomini avessero intenzione di approfittarsi di lei, ma quest’ultima con rapidità sparò senza colpirli e riuscì a metterli in fuga.
A crocevia tra realtà e leggenda, la personalità di Paska Devaddis e i racconti sulla sua figura rimangono tutt’ora pregni di mistero e fascino, sollecitando la memoria di un banditismo orientato a un attivo ruolo femminile, spesso forse sottovalutato. Malgrado si fosse trovata coinvolta senza volerlo, la giovane banditessa dimostrò infatti grande forza difendendo sé stessa e la famiglia, a discapito di un apparente gracile aspetto e un malinconico viso pieno ancora di voglia di vivere.