In ogni angolo della Sardegna, narrazioni leggendarie convivono all’interno della comunità di appartenenza, alimentando spesso un forte corredo identitario dai tratti singolari. Anche in Gallura si respira un’aria pregna di credenze e usanze su molti aspetti della vita quotidiana, dalla sfera religiosa a quella legata al folklore come nel caso de Sa Reula, la processione notturna dei defunti penitenti.
Di origine quasi sicuramente gallurese e contaminata poi da variazioni nel resto dell’isola, la credenza su Sa Reula è tanto salda quanto inquietante, a partire dal momento in cui essa prende vita, ossia la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre. Secondo la leggenda, si racconta infatti che da mezzanotte fino all’alba le anime di morti sepolti in cripte e cimiteri girovaghino nel mondo terreno, dando vita a una lugubre processione da portare a termine per poter espiare le proprie colpe.
Vestiti con tunica bianca e con una candela accesa, gli spiriti quindi cercano di stare al passo con il tempo a disposizione, in quanto il loro percorso deve concludersi assolutamente entro il sorgere del Sole. Una regola che spesso l’ultimo della fila – tradizionalmente noto come “lu zoppu” (“lo zoppo”) – non riesce a rispettare, poiché in difficoltà a raggiungere le altre anime a causa della sua condizione.
Macabra e misteriosa, Sa Reula è considerata un evento da cui un umano meglio stia alla larga, dato il forte presagio di sventura che la contraddistingue. Se infatti capita di imbattersi nel corteo, non solo si rischia di vedere tra i morti lo spirito di un vivente, – segno di cattivo augurio – ma la propria sorte potrebbe dipendere dalla direzione stessa della processione, causa di morte se quest’ultima è in salita o di una lunga malattia se diretta in discesa. A volte però la situazione può anche essere a favore dello sfortunato, che, come unica conseguenza, riceve botte e porta a lungo lividi detti “li pizzichi di li molti”.
Una credenza che destava e causa tutt’ora turbamento, ma che nel tempo ha trovato in usanze popolari alcune soluzioni, applicabili anche durate l’incontro stesso. Si dice infatti che se un malcapitato incontra la processione, per non essere notato dai morti e salvarsi dalla sventura deve stare in una specifica posizione, – su consiglio di un conoscente defunto lì presente – farsi il segno della croce e recitare la preghiera tradizionale sarda “Sas doighi paraulas mannas”(Le 12 parole di San Martino).
In certi casi, tuttavia, di fronte a Sa Reula si potrebbe rimanere ammutoliti per lo spavento e non riuscire quindi a svolgere il contro rito, motivo per cui esiste un’alternativa purificatrice basata su 4 ciocche di capelli. Una volta tagliate da fronte, nuca e tempie, esse infatti vengono bruciate nel fuoco e per guarire dal mutismo la persona colpita deve bere con acqua parte della cenere ottenuta.
Dalla potente componente occulta, Sa Reula non rimane solo uno scenario basato su una credenza ideale, ma ad essa si legherebbero anche esperienze concrete, a partire da quella del commerciante di bestiame Nicola Pitzoi. Secondo questo racconto un giorno l’uomo fu invitato a dormire dal padrone di un insediamento rurale e chiese di poter riposare su un materasso vicino all’ingresso, così da uscire la mattina dopo per il lavoro senza disturbare. Spenta la luce però sentì tirare la coperta, perciò spaventato prese il cavallo e decise di tornare alla sua abitazione, non immaginando cosa lo stesse aspettando. Arrivato a un cimitero da oltrepassare obbligatoriamente, egli fu infatti circondato da Sa Reula che cercò di trattenerlo senza successo, poiché Nicola riuscì a recitare lo scongiuro e a scappare passando per un torrente che i defunti non avrebbero potuto attraversare.
Al netto della potenziale veridicità del racconto del Pitzoi, Sa Reula rimane ancora adesso un elemento di forza dell’identità isolana, soprattutto in particolari occasioni come il Carnevale. Non è infatti raro imbattersi nel macabro corteo, per esempio, durante i festeggiamenti nei comuni sassaresi di Tempio Pausania e Calangianus, dove tra “Li Mascari Brutti” (le maschere brutte) sfila anche Sa Reula, impersonata da figure vestite di bianco e il viso truccato con carbone. Un aspetto che può incutere timore, ma anche affascinare, un po’ come tutte le credenze della nostra regione.