A 900 metri sopra il livello del mare, Tonara è uno dei comuni che costellano la vasta e montuosa regione della Barbagia. Ubicato in provincia di Nuoro, il paese può vantare diverse tradizioni produttive ed artigianali, che lo rendono uno dei siti più caratteristici da visitare; oltre ai tappeti e al famigerato torrone – che ha consentito di far conoscere il territorio al di fuori dell’isola – un’altra attività significativa è quella relativa alla creazione dei campanacci, utilizzati in Sardegna per le greggi e gli armenti. A Tonara, tale abilità manuale è considerata così importante al punto che, ancora oggi, i segreti del mestiere vengono scrupolosamente tramandati di generazione in generazione.
Il processo di lavorazione, le tecniche e le modalità utilizzate per la realizzazione di tali strumenti sono appannaggio dei cosiddetti “Sonaggeris” o “Pittiolos”, ossia i costruttori di campanacci. Generalmente, essi organizzano il proprio lavoro sulla base di 26 fasi distinte, che in ultima sede consentiranno di “intrare in su sonu”, cioè dare un suono al metallo.
Tra i principali passaggi, il primo consiste nel taglio di un foglio di lamiera, da cui si ottengono due conchiglie speculari; queste vengono poi pestate per assumere una forma più concava. Successivamente, i due involucri metallici vengono assemblati attraverso due archetti, posizionati rispettivamente nella parte superiore ed internamente. Si passa poi alla fase dell’ottonatura: dentro ogni campanaccio semilavorato viene inserita una minima grammatura di ottone, la quale andrà a fondersi con l’interno della lamiera in fase di cottura. A questo punto, il prodotto ottenuto – che prima di essere sottoposto all’alta temperatura era stato sistemato dentro un crogiuolo – viene lasciato raffreddare. L’ultima parte di lavorazione è quella dell’accordatura, durante la quale l’artigiano decide che tonalità attribuire allo strumento. Questa viene ottenuta attraverso un restringimento o un allargamento della bocca del campanaccio, a seconda delle esigenze di chi poi andrà ad acquistarlo: per esempio, un suono breve sarà più adatto per quelli utilizzati in zone di pianura, mentre una sonorità più lunga per le aree montane.
In Sardegna, esistono differenti tipologie di campanacci. L’insieme di quelli utilizzati per il gregge prende il nome di “su ferru”: tra questi, si possono distinguere i più leggeri – usati durante la stagione invernale data la magrezza delle pecore – e quelli più pesanti per la primavera, chiamati anche “ferru grussu”. Al netto di ciò, ancora oggi a Tonara vengono prodotti tre principali tipi di campanacci: tondo, quadro e lungo. Il primo, chiamato anche “cuartesa” ed utilizzato per le pecore, è diffuso in tutta la Sardegna, in particolare nel campidanese; il quadro invece, denominato “còssasa” e più adatto alle mucche, è presente nella zona dell’Anglona, in Gallura, Nurra e Logudoro. Infine, quello lungo può essere di due forme: ristretto in alto e largo in basso oppure più sottile e con un’imboccatura più stretta. Quest’ultima è caratteristica dell’Alto Campidano – Cuglieri e Scano Montiferro – e viene chiamata “narboliesa”; l’altro tipo prende l’appellativo di “Sindia”, ispirato al nome del paese in cui viene utilizzato maggiormente.



Custodi di una storia artigianale lunga circa due secoli, le botteghe degli artigiani tonaresi rappresentano il punto di riferimento per la creazione dei campanacci. Tutt’oggi, a Tonara sono ancora attive officine a conduzione familiare di “sonaggeris”, produttrici di strumenti per tutta l’isola: particolarmente note sono, ad esempio, le famiglie Floris e Sulis. Con il loro diligente impegno, esse costituiscono un anello di congiunzione tra il mondo artigianale e quello pastorale. Infatti, attraverso la specifica sonorità del campanaccio, il pastore è capace di intuire se l’animale sta riposando oppure se sta rischiando di allontanarsi troppo; inoltre, il suono tiene sveglio il gregge, il quale pascola e produce più latte.
Gran parte dei prodotti creati dai bottegai viene commercializzata in occasione di feste paesane e festività religiose, durante le quali gli allevatori si riuniscono per aggiornare il proprio “corredo sonoro”. I campanacci però, stanno destando pian piano anche l’attenzione dei turisti: non è inusuale che, per ricordare il proprio soggiorno, essi visitino le officine e stiano a diretto contatto con gli artigiani stessi, riprova ulteriore di quanta risonanza possa avere tale tradizione.