“Io vagabondo”, “Terra promessa”, “Lei verrà”, “Donne”. Talvolta l’incontro di una melodia con le parole può dar vita a capolavori senza tempo, destinati ad entrare a far parte della storia della musica e della memoria collettiva. Lo sa bene Alberto Salerno che, di questi e tanti altri brani di grandissimo successo, ha scritto il testo.
Famoso paroliere, oltre che produttore discografico, seguendo le orme del padre Nicola, in arte “Nisa”, autore di successi mondiali come “Tu vuò fà l’americano”, Alberto Salerno inizia la sua carriera da giovanissimo scrivendo la canzone “Avevo un cuore” di Mino Reitano, la prima di una lunga serie. Un successo che il famoso autore è riuscito a replicare anche nella vita privata.
Sposato dal 1976 con la nota produttrice discografica e conduttrice Mara Maionchi, a cui è legato anche professionalmente, è un marito, un padre e un nonno realizzato. Attualmente, è impegnato su YouTube con il format “Storie di Musica”, arrivato alla sua quarta stagione. Qui Salerno, insieme al suo editore, Giuseppe Fisicaro, racconta la vita e la carriera dei più grandi artisti della musica italiana e internazionale.
Ha respirato da sempre la passione per la musica e per la scrittura dei testi. Quando ha capito che questa passione sarebbe potuta diventare anche il suo lavoro?
Nasce tutto da mio papà, Nicola Salerno, ha fatto delle canzoni pazzesche, per me irraggiungibili. Ha iniziato negli anni ‘30 con successi enormi. Poi, negli anni ‘50, ha scritto tutte le canzoni di Renato Carosone (primi cinque posti negli Stati Uniti).
Nel corso della sua carriera ha scritto i testi di canzoni importantissime nel panorama della musica italiana. Da cosa trae ispirazione per riuscire a comporre i versi di una canzone?
È un caso, non c’è un metodo, ti arriva e basta. È molto complicato da spiegare, anzi è inspiegabile. Zucchero venne da me cantando “Woman tu-du-du […]”, con parole improvvisate in finto inglese. Così ho cominciato a cantare “Donna tu-du-du”, ma suonava come una cosa un po’ triste. Quando mi è venuto al plurale, “Donne”, mi sono detto: “É troppo forte, perché parla di tutte le donne”.
Con sua moglie, Mara Maionchi, ha fondato la casa discografia “Non ho l’età” diventando così anche produttore. Qual è la chiave per capire che un artista può avere quella marcia in più che lo porterà a sfondare?
Inizialmente è stata una rottura di co****** – (ride, ndr) -. Lei era il direttore artistico ed io il produttore, per cui avevo a che fare con il mio capo e spesso e volentieri non condividevo le sue scelte perché non coincidevano con le mie esigenze professionali. Dopo, quando abbiamo fatto la nostra società, siamo invece stati sempre in sintonia ed armonia. Si è così sviluppata una collaborazione unica, vivevamo di musica, anche a casa parlavamo solo di musica. Una specie di ossessione, ma il lavoro o lo fai così o non lo fai. Non c’è un segreto, con Tiziano Ferro, grazie alla sua voce unica, eravamo certi di avere un asso, ma ci sono stati talenti che hanno ricevuto meno rispetto a ciò che erano in grado di fare, come Leandro Barsotti, il cui progetto doveva avvicinarsi al cantautorato in stile Serge Gainsbourg.
Negli anni è stato autore di diverse canzoni che hanno vinto il Festival di Sanremo. Nell’edizione di quest’anno c’è stato qualche cantante che l’ha colpita?
Ho apprezzato molto la crescita di Tananai, da un anno all’altro è cresciuto esponenzialmente. Il suo è un bel pezzo.
Con la sua serie web “Storie di Musica” ha deciso di raccontare il “dietro le quinte” del mondo della musica. Come è nata questa idea?
È nata durante il lockdown, un po’ per noia mi sono messo lì a raccontare aneddoti e a recensire canzoni che amo, alcune delle quali che avrei voluto scrivere io. Un gruppo di persone si è appassionato e così ho continuato, con il supporto del mio editore, Giuseppe Fisicaro, e della Digital Noises, lo abbiamo fatto crescere e lo abbiamo migliorato negli aspetti tecnici e negli argomenti trattati.
Come sceglie chi intervistare?
Inizialmente andavo un po’ a braccio, secondo quello che mi interessava raccontare. Poi con il team editoriale abbiamo organizzato meglio i contenuti, andando anche incontro alle richieste di chi ci segue.
State avendo un buon riscontro da parte del pubblico giovane? E da parte degli artisti della nuova generazione?
Chiaramente i miei racconti parlano di un’altra generazione, e il pubblico principale è quello dei “nostalgici”. C’è un gruppo di ragazzi che sono interessati alle mie opinioni sui pezzi, sulla musica. Avremmo voluto avere interlocutori più contemporanei, della scena attuale, ma non ho avuto molta disponibilità da parte di artisti e manager, forse non gli interessa parlare con un “vecchio” lavoratore della musica.
In cosa differisce la nuova stagione di “Storie di Musica” rispetto alle precedenti?
Come dicevo, abbiamo messo il focus su argomenti che ci hanno richiesto i nostri seguaci. La puntata su Bowie con Andy dei Bluvertigo, un’idea di Fisicaro, è stata una chicca più che un’intervista, ero un appassionato ascoltatore di un esperto.
Come pensa che evolverà il mondo della musica nei prossimi anni?
È difficile da prevedere, ma sembra che dopo la fase rap-trap si stia tornando a cantare, alla bella voce. In ogni caso, dipenderà molto da come il mercato si evolverà, è il mercato a decidere come si muove la musica.