È un uomo complicato, Richard Williams. Un esempio di determinazione che sconfina in cocciutaggine, di fierezza che sfocia in presunzione. È un padre degli anni ’90 a Compton, città della contea di Los Angeles flagellata dalle bande criminali, e ha scritto un piano di 78 pagine che spiega dettagliatamente come le sue figlie, Venus e Serena, diventeranno le tenniste più forti al mondo: due ragazzine di colore, nel cui background culturale non c’è la minima traccia di tennis -sport tradizionalmente praticato da bianchi altoborghesi- “scuoteranno il mondo”, così dice Richard a sua moglie Oracene, e lo faranno nonostante, o forse, grazie alla loro provenienza, al ghetto che le mortifica in quanto ragazze e sportive, e le spinge a lavorare, di più e meglio, per distinguersi, per fare la differenza.
È un motivatore, un leader di famiglia che ben nasconde le sue insicurezze, Richard Williams, ed è impossibile non credergli, non seguirlo in battaglia, nonostante tutti i suoi difetti: Will Smith, interprete di questo “re” dispotico e irresistibile nel film “Una famiglia vincente – King Richard”, diretto da Reinaldo Marcus Green, restituisce con sensibilità e efficacia espressiva la profondità di un personaggio scritto impeccabilmente dallo sceneggiatore Zach Baylin.
I successi di Venus e Serena, infatti, ben noti a chi segue anche solo superficialmente la cronaca sportiva, non condizionano la narrazione di King Richard come padre e come coach, né forniscono una giustificazione per le scelte, in parte discutibili, che nel bene e nel male hanno segnato la vita delle celebri tenniste fin da bambine. Will Smith danza sul confine tra genuina simpatia e insopportabile sbruffonaggine, lasciando trasparire un passato di sofferenza e vessazioni che necessitano di essere risolte nella realizzazione di un sogno: quello di Richard che diventa, senza troppe possibilità di scelta, quello di Venus e Serena.
Del resto a Compton, città con altissimo tasso di criminalità in cui sono nate le prime gang di strada afroamericane e latine, le alternative per delle ragazze adolescenti non sono molte: è il 1991, in televisione scorrono le immagini del pestaggio di Rodney King da parte della Polizia, che l’anno successivo, in seguito all’assoluzione degli agenti coinvolti, sfocerà nei gravi disordini noti come la rivolta di Los Angeles, e i coniugi Williams impongono alle loro ragazze una routine ferrea fatta di studio e sport, in cui le aspirazioni paterne si trasformano nell’unica strada alternativa, almeno apparentemente, alla vita nel ghetto.
Nel film, dunque, non si racconta l’ascesa straordinaria di Venus e Serena all’Olimpo del tennis, ma il percorso tenace di una famiglia che aspira al riscatto e che lotta per affermare se stessa; la ricerca dell’occasione giusta, di mentori che siano capaci di ascoltare e allenatori che mettano la loro competenza a disposizione di due ragazzine talentuose, come Paul Coen (Tony Goldwyn) e Rick Macci (Jon Bernthal), non scade mai nella retorica del “sogno americano”, fin troppo spesso celebrato nel cinema che racconta storie di sport. La battaglia dei Williams per emanciparsi da una situazione economica e sociale di svantaggio è lunga: anche quando la strada sembra spianata, infatti, le trappole di un sistema che riconosce il talento degli atleti solo per stravolgerne la vita in nome del profitto, rischiano di omologare la vicenda eccezionale di Venus e Serena a quella di altre giovani promesse del tennis, spesso incapaci di gestire il loro precoce successo.
Pur con le sue contraddizioni, però, Richard Williams appare sempre consapevole della diversità delle figlie che ha cresciuto e protetto, talvolta, fin troppo severamente, ed è convinto del ruolo speciale che potrebbero avere nella vita di milioni di ragazze discriminate per la loro razza, perciò si batte per aprire una nuova strada in un mondo di privilegio monocorde e monocromatico: la famiglia Williams irrompe nel panorama tennistico restando fedele a se stessa e impone le proprie regole e necessità attraverso lo sport, forse una delle chiavi più democratiche attraverso cui la società si evolve, davanti all’incontestabile bellezza di un talento puro, cristallino.
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Insieme a Will Smith, fresco vincitore del Golden Globe come miglior attore protagonista in un film drammatico, spiccano nel cast le attrici che interpretano Venus (Saniyya Sidney) e Serena (Demi Singleton), capaci di evocare una sorellanza genuina e restituire al pubblico la leggerezza e giocosità della loro giovinezza. È nel passaggio verso l’età adulta, che prefigura gli straordinari successi e le accese rivalità future, che il film trova la sua compiutezza, così come nella voce di Beyoncé, che accompagna i titoli di coda cantando la potente “Be Alive”.
La cantante, simbolo di empowerment femminile nel panorama musicale, regala al film un momento conclusivo liberatorio e trascinante, un inno alla forza e all’orgoglio, un incitamento a tenere la testa ben alta davanti alle avversità, senza mai rinnegare se stessi: le immagini del film, inframezzate a quelle delle reali imprese sportive di Venus e Serena, scorrono, il ritmo sale e, alla fine, “Siamo seduti in cima al mondo, ancora una volta”.
E, grazie a queste storie straordinarie, crediamo nei sogni con un pizzico di convinzione in più.