Crudele, estremo, esplicito, agghiacciante, talvolta rivoltante. Tra sesso, violenza e una brutale idea di “civiltà”, Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato è un titolo cruciale nella storia del cinema horror e non solo, un capolavoro maledetto o da maledire per come unisce raccapriccio e realismo, tortura ed etica grazie alle sue invenzioni narrative.
Mentre sui social i fan invocano a gran voce i loro cinema di riferimento per poter (ri)vedere il film sul grande schermo, l’elenco delle sale che hanno coraggiosamente scelto subito di proiettare il film, in versione integrale restaurata in 4K (e vietata ai minori) con anteprime a partire dal 16 agosto, è consultabile all’indirizzo: catpeople.it/cannibal-holocaust-cinema.
Può un film che condanna il sensazionalismo essere sensazionalista a sua volta? Questa è solo una delle tante questioni che la pellicola riesce a sollevare ancora oggi, anticipatrice del finto-documentario odierno – il found footage, da “The Blair Witch Project” a “The Visit” di M. Night Shyamalan, passando per “Rec – La paura in diretta”, “Cloverfield” e “Paranormal Activity” – e di tutto un modo di narrare per immagini “trovate”.
Cannibal Holocaust è infatti diviso tra una prima metà d’avventura e una seconda costituita dalle immagini realizzate in pellicola 16mm da quattro esaltati e spregiudicati documentaristi tra gli indigeni della foresta amazzonica: intenti a creare momenti sconcertanti per il loro film, i quattro finiscono con il causare un’escalation di inaudita violenza. Qui la crudeltà delle immagini, dei pensieri e delle intenzioni, rimescolati con furore e frenesia dallo spietato stile di regia di Ruggero Deodato e dalle musiche di Riz Ortolani, sperimentali e melodrammatiche, rendono Cannibal Holocaust un punto di non ritorno, un inferno capace di unire voyeurismo e sofferenza come nessun altro film.
Un tilt di sensazioni realizzato secondo un modello attualmente inconcepibile, la cui sfrontata e grezza sincerità rimane ineguagliata e irreplicabile. Tra il vero e il falso, il ricostruito e il rubato, Cannibal Holocaust con il suo realismo mette a nudo la perversione, andando oltre il semplice horror e la mera oscenità.
All’epoca dell’uscita venne censurato in 23 Paesi nel mondo, mentre in altri ebbe un enorme successo (in Giappone fu il secondo maggiore incasso del 1982, dietro a E.T.). In Italia i tagli, gli scandali e le ben documentate vicissitudini giudiziarie ne decretarono il flop, rendendolo tabù per anni. Al contempo divenne punto di riferimento per registi come Oliver Stone, Eli Roth e Nicolas Winding Refn che lo definisce come uno dei film da cui ha «rubato tutto il possibile, sia visivamente che tecnicamente». Ora torna, nei cinema coraggiosi, distribuito da Cat People, grazie alla F.D. Cinematografica di Alessandro e Luca Palaggi e con la collaborazione di Nocturno.