Era il lontano 1993, quando nelle sale cinematografiche di tutto il mondo usciva il primo film della saga di “Jurassic Park” diretto da Steven Spielberg: oggi, a quasi 30 anni di distanza, al primo posto della classica delle pellicole più viste in Italia, dopo un solo weekend di programmazione, si impone “Jurassic World – Il dominio” di Colin Trevorrow, sesto, spettacolare capitolo di un universo narrativo in continua espansione.
Tutto è cominciato con il romanzo di Michael Crichton, pubblicato nel 1990: “Jurassic Park” è un successo editoriale e conferma così che l’interesse della Amblin Entertainment -la casa di produzione fondata da Steven Spielberg che ha acquisito i diritti del libro ancor prima dell’uscita- è stato ben riposto; lo stesso Crichton lavora alla sceneggiatura insieme a David Koepp e, nonostante le differenze rispetto al libro, il film è un trionfo mondiale, amato dal pubblico e giudicato favorevolmente dalla critica. Gli effetti speciali della Industrial Light & Magic, del resto, sono stupefacenti, l’uso della CGI (Computer-Generated Imagery), la computer grafica 3D, rende i dinosauri “reali”: nonostante i progressi fatti nel campo degli effetti visivi, ancora oggi il primo dinosauro che appare in questo film, il maestoso brachiosauro, incanta come un prodigio.
“Jurassic Park” entra così a buon diritto nell’immaginario degli spettatori e le inconfondibili note della colonna sonora di John Williams restano, a distanza di anni, capaci di suscitare meraviglia e terrore: cosa è rimasto, oggi, di quella magia? Alla prima trilogia, che ha coinvolto alternativamente i personaggi del film d’esordio -il paleontologo Alan Grant (Sam Neill), la paleobotanica Ellie Sattler (Laura Dern) e il matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum)-, se n’è aggiunta una seconda, cominciata nel 2015 con “Jurassic World”; se l’idea di un Parco in cui l’attrazione principale fossero i dinosauri è fallita per svariate e sanguinose ragioni nelle prime tre pellicole, ora si è trasformata in realtà grazie ai progressi della genetica, con la conseguenza che i dinosauri sono diventati un business e la loro presenza non suscita più stupore. Come un qualsiasi “prodotto”, infatti, questi animali devono necessariamente rinnovarsi per attirare l’interesse dei consumatori: la “Disneyland” dei dinosauri, diretta da Claire Dearing (Bryce Dallas Howard), si trasforma allora in un laboratorio, in cui si compiono esperimenti per rendere più terrificanti le specie da esporre e si attuano strategie finalizzate a domarle, grazie agli studi del comportamentalista animale Owen Grady (Chris Pratt).
Questa svolta “capitalistica” ha fatto storcere il naso ai fan più nostalgici del “Jurassic Park” anni ’90, ma va detto che la commercializzazione dei dinosauri, il loro sfruttamento, rappresenta un epilogo verosimile per il mondo attuale, incapace di risolvere con la diplomazia i conflitti -non a caso alcune specie vengono addestrate appositamente per essere usate sui campi di battaglia- o di far fronte alla crisi climatica: cosa ne sarebbe, dunque, dei dinosauri, se dovessero trovarsi a convivere con gli esseri umani nel 2022?
“Jurassic World – Il dominio” si svolge in un mondo in cui queste meravigliose creature, ormai diffuse in tutto il pianeta, sono vittime dei bracconieri e del mercato nero e in cui la Biosyn Genetics, la stessa compagnia che nel primo film della saga aveva commissionato il furto di embrioni dal Jurassic Park, si erge a loro protettrice; intanto un’infestazione di super-cavallette con il DNA modificato distrugge le colture e rischia di provocare una carestia mondiale. A investigare su questa piaga nei laboratori della Biosyn, siti nientemeno che sulle Dolomiti, sono proprio gli storici personaggi di Alan Grant e Ellie Sattler, chiamati all’azione da Ian Malcolm, divenuto intanto il filosofo di riferimento di Lewis Dodgson (Campbell Scott), guru della Biosyn; la loro indagine si incrocerà con la ricerca di Claire e Owen, decisi a ritrovare Maisie (Isabella Sermon), la ragazzina frutto di un esperimento genetico incontrata nel precedente capitolo della saga, e il cucciolo di Blue, Velociraptor allevata da Owen: sia Masie che il piccolo Raptor sono stati rapiti perché necessari al dottor Henry Wu (BD Wong), storico scienziato del primo Jurassic Park ora al soldo della Biosyn, a completare le sue ricerche.
L’incontro tra i personaggi delle due trilogie è ben studiato e ricco di momenti di ironia; sono numerosi gli “easter egg” che i fan si divertiranno a scovare e che collegano questo sesto capitolo al primo: la trama, tra scene d’azione al cardiopalma e dinosauri sempre più spettacolari scorre, forse, senza troppe sorprese, ma non conosce cali nella tensione narrativa. Si può non apprezzare la trilogia degli anni Duemila per molti motivi, ma di certo ha il merito di aver chiuso l’arco narrativo dei vari personaggi che hanno animato il mondo giurassico, ponendo al contempo la questione della convivenza -ormai inevitabile- con i dinosauri come un’assunzione di responsabilità e un’occasione per ripensare il rapporto tra uomo e natura nel segno del rispetto.
Il franchise, al cinema, si è dunque concluso definitivamente? In fase promozionale i produttori non hanno escluso un nuovo inizio per la saga, senza però fornire alcuna anticipazione; d’altra parte, l’universo di Jurassic Park è vivo e continua a raccontare storie, attraverso la serie animata “Jurassic World – Nuove avventure”, giunta su Netflix alla quarta stagione, e i videogiochi “Jurassic World Evolution” 1 e 2, solo per citare i più recenti. Se ci saranno nuovi Velociraptor o Tyrannosaurus Rex da cui scappare, dunque, è certo che in molti ricominceranno a correre, terrorizzati ma felici.