La splendida Isola dell’Asinara, situata nell’estremità nord-occidentale della Sardegna e, dal 2002, totalmente ricompresa nell’omonimo Parco Nazionale, è famosa in tutto il mondo non solo per la natura incontaminata e la straordinaria biodiversità, ma anche, e soprattutto, per la sua complessa storia.
I numerosi turisti che ogni anno affollano questo paradiso terrestre, completamente disabitato, hanno l’opportunità non solo di ammirare la bellezza delle sue acque cristalline e della fauna selvatica, ma anche di intraprendere un viaggio nel tempo ed esplorare le vecchie strutture carcerarie presenti sull’isola.
Soprannominata l’Alcatraz italiana – in riferimento all’isola americana di Alcatraz, ubicata nell’Oceano Pacifico e ricordata per essere stata la sede di uno dei penitenziari più terribili al mondo, operativo tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento -, l’Asinara è conosciuta soprattutto per aver ospitato uno dei carceri più duri d’Italia. Qui sono stati detenuti alcuni dei criminali più pericolosi balzati agli onori della cronaca nazionale.
Istituito nel 1885, quando gli abitanti originari dell’isola furono costretti a trasferirsi, soprattutto nel borgo di Stintino, per fare spazio alla nuova struttura, il carcere dell’Asinara nacque inizialmente come colonia penale agricola e durante le due guerre mondiali divenne un campo di prigionia. Nel corso del secondo conflitto mondiale ospitò, tra l’altro, centinaia di prigionieri provenienti dall’Etiopia, tra cui la figlia dell’ultimo imperatore, Hailé Selassié.
Il penitenziario non consisteva in un singolo luogo di detenzione ma era composto da oltre dieci diramazioni – tra le quali le più note furono i distaccamenti di Cala d’Oliva e di Fornelli -, dislocate un po’ in tutto il territorio e ognuna con un livello di sicurezza diverso a seconda della pericolosità dei carcerati. Addirittura, in quelle dove era previsto un regime di controllo piuttosto blando, i detenuti erano liberi di lavorare e girare sull’isola.
Situata a circa 10 chilometri dalle coste della Sardegna e circondata da forti correnti marine, che rendevano estremamente rischiosi i tentativi di fuga a nuoto, l’Asinara si trasformò nel tempo in un vero simbolo di isolamento. Proprio per queste sue caratteristiche, negli anni Settanta fu trasformata in un carcere di massima sicurezza, divenendo uno dei luoghi di detenzione più controllati ed efficaci del Paese.
Era la stagione degli “anni di piombo” e, per via della sua posizione remota, il carcere dell’Asinara fu scelto come luogo di detenzione per alcuni membri delle Brigate rosse, di Cosa Nostra, della Camorra e dell’Anonima sequestri, oltre che per diversi terroristi.Tra i detenuti più famosi si annoverano Salvatore Riina, ex capo di Cosa Nostra, detenuto nella sezione di Cala d’Oliva, e Raffaele Cutolo, leader della Nuova Camorra Organizzata. Entrambi furono sottoposti a un rigido regime di sorveglianza. Le celle erano disposte in modo da impedire qualsiasi contatto tra i detenuti e, grazie alle intensificate misure di sicurezza, si cercava di prevenire ogni tentativo di evasione.
Le condizioni di vita nel carcere erano dure non solo per i detenuti, ma anche per il personale. Questo provocò diverse ribellioni, in particolare nel 1978. Quella più eclatante fu incoraggiata dai due detenuti Alberto Franceschini e Renato Curcio, tra i fondatori delle Brigate Rosse, i quali progettarono di devastare il bunker e chiedere il trasferimento in altri penitenziari. La sommossa però non diede i risultati auspicati dai terroristi e i detenuti dovettero arrendersi alle forze dell’ordine arrivate da tutto il nord Sardegna. Lo Stato non si piegò neanche dinanzi alla richiesta, avanzata dagli stessi brigatisti, di barattare la chiusura del carcere con la liberazione del magistrato Giovanni D’Urso.
Nell’estate del 1985, l’isola suscitò un grande interesse mediatico non solo per il carcere bunker, ma anche per essere stata scelta come luogo ideale per garantire la sicurezza dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I due, infatti, vi soggiornarono insieme alle loro famiglie per completare la redazione delle 8.000 pagine dell’ordinanza che diede avvio al maxiprocesso di Palermo.
Il carcere dell’Asinara è noto come il penitenziario con il minor numero di evasioni nella storia carceraria italiana. L’unica persona a riuscire nell’impresa fu, nel 1986, Matteo Boe, uno dei maggiori esponenti del banditismo sardo, ma il fatto rimane ancora avvolto nel mistero.
A seguito di un cambiamento nelle politiche penitenziarie italiane, considerato lo stato fatiscente delle strutture e le condizioni dei detenuti giudicate disumane da diverse organizzazioni umanitarie, il carcere dell’Asinara venne definitivamente chiuso nel 1998. Poco dopo il territorio fu sottoposto a interventi di bonifica e riqualificazione, trasformandolo in una preziosa risorsa turistica e ambientale.
Di quegli anni rimane l’ex complesso penitenziario, ormai in rovina, che testimonia storie di vita, sofferenza, isolamento e, talvolta, redenzione, di coloro che sono passati di lì. Un patrimonio, non solo naturale, ma anche di memoria, tutto da scoprire e capace, ancora oggi, di far riflettere.