Fin dalla notte dei tempi, la natura è sempre stata simbolo incontrastato di bellezza ed inesauribile ricchezza. Difatti, seppur frequentemente sottovalutato, tale tesoro abbraccia numerosi organismi vegetali e animali, i quali convivono all’interno di differenti habitat. Simile equilibrio biologico è rintracciabile anche presso la Laguna di Santa Gilla, una delle più importanti zone umide d’Europa; collocata nel tratto occidentale del Golfo di Cagliari, essa copre una superficie compresa tra il capoluogo, Assemini, Elmas e Capoterra. Il suo nome deriva da Santa Igia, antica capitale giudicale sorta entro i suoi confini.
Il territorio lagunare di Santa Gilla fu abitato fin dal X secolo a.C., periodo in cui i fenici giunsero in Sardegna e individuarono lo stagno come porto per i commerci marittimi: esso, infatti, risultava facilmente difendibile ed agevole per l’ancoraggio delle imbarcazioni. Assieme al sistema portuale, si sviluppò anche una rete difensiva, costituita da fortificazioni che bloccavano l’accesso dal mare; questo punto strategico definì il primo nucleo di “Krly”, nome con cui i punici identificavano Cagliari. Il complesso subì alcuni ampliamenti in epoca romana, attraverso la costruzione di un altro porto – noto come “Porto Scipione” – e un’ulteriore urbanizzazione dell’area; ciò consentì la piena configurazione di Caralis, antenata dell’odierna provincia.
Il Medioevo segnò una svolta importante, poiché proprio in questo frangente nacque la città di Santa Igia. Con le incursioni saracene del IX secolo d.C., Caralis fu abbandonata e i suoi abitanti si rifugiarono ad est, lungo la zona antistante lo stagno; ivi decisero di costruire un nuovo centro urbano chiamato “Santa Ilia”, – o “Santa Cecilia” – divenuto poi “Santa Igia”. Da quel momento, esso divenne a tutti gli effetti capitale del Giudicato di Cagliari, Stato sovrano nato nel Sud Sardegna; al suo interno presero sede il Giudice con la corte, i poteri religiosi e gli organi amministrativi.
Tra la fine del XII e il XIII secolo, la cittadina conobbe un notevole sviluppo e un consolidamento del meccanismo difensivo, grazie all’opera di muratura voluta da Guglielmo I Salusio IV; nel frattempo, anche la popolazione aumentò, raggiungendo i 15.000 abitanti.
La prosperità di Santa Igia continuò a crescere per oltre 5 secoli, anche grazie ai rapporti commerciali con la Repubblica Marinara di Genova. Tuttavia, il Giudicato di Cagliari non era l’unico esistente nell’isola, ma spartiva i territori con quelli di Torres, Arborea e Gallura; tali entità statali erano schierate dalla parte di Pisa, acerrima nemica di Genova.
Dopo varie rappresaglie, la rivalità raggiunse il culmine nel 1258, quando i pisani e gli alleati sardi invasero la capitale giudicale: la città venne completamente distrutta e pare che sui resti fosse stato cosparso del sale. La sua scomparsa fece cadere l’area nel degrado e solo nel ‘900 fu avviata una bonifica per l’edificazione di nuove infrastrutture.
Come già accennato, Santa Igia affiorò nel territorio di Santa Gilla, zona umida ubicata nei pressi del cagliaritano. Caratterizzata da fondali lagunari medio-bassi, essa presenta gradi di salinità variabili a seconda della località: si oscilla da un livello alto nella frazione di Macchiareddu (CA) fino ad una decrescita verso il comune di Capoterra (CA). Questo peculiare aspetto consente l’evoluzione di diverse specie vegetali, tra cui piccoli arbusti e piante d’acqua dolce; particolarmente interessanti sono le alofite, esemplari con capacità di adattamento su terreni salini o in acque salmastre. Riguardo il mondo animale, la categoria prevalente è l’avifauna, che trova nel fenicottero rosa il portavoce più emblematico: la sua cromia fa riferimento all’Artemia Salina, crostaceo facente parte della dieta dell’uccello e causa del colorito del piumaggio.
Fin dal XIX secolo, Santa Gilla fu protagonista di suggestive scoperte archeologiche, avvenute inizialmente in modo fortuito: il primo esemplare venne recuperato nel 1869 da alcuni pescatori, i quali scorsero una testa femminile in terracotta impigliata nelle reti. A seguito di altri ripescaggi, fu incentivata una campagna di scavo a nord-est dello stagno; tale operazione portò alla luce ulteriori resti, come anfore, maschere e vasellame. Le ricerche proseguirono fino agli anni ’80, permettendo il ritrovamento di tombe e numerosi oggetti votivi: tra questi, spiccano frammenti di 31 mani ceramiche e di volti in terracotta, entrambi di età fenicio-romana ed attualmente conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.