“Giocavo con grande serietà e a un certo punto qualcuno i miei giochi li ha chiamati arte”
Maria Lai
Era un desiderio di Maria Lai, che l’arte nutrisse gli abitanti di Ulassai. Lo era da quando li coinvolse a tessere relazioni fra famiglie e vicinati, fra comunità e natura talvolta matrigna con cui gli ulassesi sono chiamati a convivere. Lo volle sin dai tempi in cui lei aveva ostinatamente lavorato perché Ulassai avesse un suo museo d’arte contemporanea.
Lo voleva nel cuore del paese. Lo immaginava come rifugio di riflessione, come tabernacolo di pensieri, come incubatore dell’arte più disciplinata e seria che il genere umano abbia creato: il gioco.
Quante volte ha ripetuto: badate bene, il gioco è una cosa seria. Ha le sue regole, i suoi schemi, la sua disciplina, così è l’arte.
Per essere bravi nel gioco, come nell’arte, ci vuole allenamento. Bisogna capire il linguaggio. Nacquero le carte, per giocare ed imparare l’arte. Si evolse pian piano l’idea che una comunità allargata potesse costruire un proprio destino dialogando con l’arte, allenando lo sguardo ai linguaggi, il sentire alle forme e ai segni.
Ulassai oggi, con la sua arte che parla nel paesaggio urbano ed extraurbano, con la sua Stazione dell’arte, posta in un’ideale piattaforma di lancio di verso l’infinito, si candida a divenire un punto di riferimento per le arti contemporanee non solo per la Sardegna.
Il progetto di Biennale d’arte contemporanea, iniziato con la prima delle esposizioni lo scorso giugno e terminata ai primi di ottobre 2024, ha rappresentato quella volontà di segnare un passaggio evolutivo auspicato, con la Stazione dell’arte, proprio da Maria Lai.
Opere e artisti che si legano all’ambiente, in un progetto che segna il destino delle arti e del loro vivere l’ambiente in cui sono prodotte o nel quale si inseriscono, per giocare con le idee, con i pensieri, con le paure e le aspirazioni, con il nuovo che non si comprende e domina, con il passato da cui si evolve e si richiama saldamente come radice che nutre.
L’esposizione della prima Biennale d’arte contemporanea, dunque, è proseguita con un incontro, in collaborazione anche con Confartigianato Sardegna, sulla storia ed il futuro delle produzioni manifatturiere artistiche degli artigiani sardi, per approdare ad un approfondimento dedicati ad alcuni degli artisti che hanno vissuto ed animato, con le loro opere la Biennale.
“Così, appena conclusa la rassegna, abbiamo immaginato – scrive Gianni Murtas, direttore artistico della Biennale nella pagina introduttiva al catalogo della mostra “Il Gioco dell’arte” riferendo del lavoro di un comitato scientifico composto da Antonello Carboni, Chiara Manca e Damiano Rossi – di avviare un percorso di approfondimento sulle ricerche che molti visitatori hanno avuto modo di conoscere solo in questo momento, ed abbiamo pensato in particolare ad artisti che hanno operato a lungo fuori dall’isola. Ne abbiamo scelto sei, che pur con inevitabili differenze di linguaggi e di poetica sono uniti da elementi importanti che consentono, vedendoli insieme, di comprendere meglio i tratti comuni e le differenze che li caratterizzano.
Silvia Argiolas, Nicola Caredda, Roberto Fanari, Silvia Idili, Silvia Mei e Paolo Pibi sono anagraficamente compresi in un decennio che va dal 1977 al 1987 ed hanno operato negli ultimi anni soprattutto a Milano. Sono pittori e il loro lavoro ha una impronta prevalentemente figurativa. Nulla di particolarmente raro se si considera che il revival della pittura risale almeno agli anni Ottanta e che la contrapposizione tra figurativo ed astratto ha lasciato il campo da qualche decennio.
Più interessante notare come le loro scelte siano più complesse di quanto possano apparire a prima vista, e che la loro figurazione è uno strano incrocio di stilemi che si muove molto liberamente tra le radici moderne e quelle postmoderne dell’arte di oggi. È un aspetto di cui tener conto perché, se è vero che la pittura come tecnica privilegiata dell’esperienza artistica è giunta al nuovo millennio con modalità sorprendentemente vitali, decisamente meno scontata è la capacità di risolvere nel presente le contaminazioni stilistiche e figurali che alimentano la ricerca contemporanea”.
Un progetto nutrito, che segue il filo di tessitrici e tessitori figli per elezione o scelta, non solo artistica di Maria Lai, che la omaggiano con nodi di che legano e che permettono di risalire le vertiginose vette di tacchi che guardano lontano, senza paura, il nuovo e il diverso.
Rispettosi di tanta insigne eredità, non solo artistica ma anche di impegno alla concretezza e co-partecipazione civile, l’Amministrazione Comunale di Ulassai e la Stazione dell’Arte, raccolgono gli insegnamenti della Maestra e concretizzano quest’eredità culturale, in azioni culturali di cui la Biennale e i suoi approfondimenti, sono un esempio.
La mostra sarà visibile, nel nuovo museo CaMuc, nel cuore del paese, nella storica casa che Maria Lai aveva idealmente eletto a museo, dal 23 novembre 2024 al prossimo 28 febbraio 2025.