Mr. Universo, star di Hollywood, governatore della California: in ciascuna delle sue numerose “vite” Arnold Schwarzenegger -culturista, attore, politico- è sempre riuscito a lasciare il segno, costruendo una carriera straordinaria a partire dall’Austria, suo paese natio, e da una condizione sociale di assoluta normalità, per arrivare negli Stati Uniti appena ventenne con un visto irregolare. Oggi, all’età di 75 anni, il celebre interprete di personaggi iconici della storia del cinema degli anni ’80 e ‘90 come Conan il barbaro e il cyborg T-101 della saga Terminator, è protagonista della sua prima serie, “FUBAR”, action dramedy in 8 episodi, già tutti disponibili nel catalogo Netflix.
Fin dal significato dell’acronimo FUBAR, “Fucked Up Beyond All Recognition”, colorita espressione utilizzata in ambito militare che indica un’azione andata all’aria o un piano in cui sono saltati tutti gli schemi previsti, si comprende il tenore di questo prodotto, che comincia col raccontare il periodo di prepensionamento di uno storico e blasonato agente della CIA, Luke Brunner (Schwarzenegger), deciso a dimenticare gli adrenalinici giorni da spia e dedicarsi a riconquistare l’ex moglie Tally (Fabiana Udenio) e a essere un padre e nonno presente per figli e nipotini; Luke infatti ha sempre mantenuto segreta la sua reale occupazione, celata perfino alla famiglia sotto la copertura di un lavoro ordinario, ma proprio durante la festa di pensionamento viene informato dal collega, nonché amico fidato Barry (Milan Carter) che la Casa Bianca ha richiesto il suo coinvolgimento per il salvataggio del misterioso agente “Panda”, scomparso in Guyana nel corso di una missione che coinvolge il trafficante d’armi Boro Polonia (Gabriel Luna).
Il protagonista decide di partire, soprattutto perché si sente responsabile delle scelte di vita di Boro; in passato, infatti, è stato costretto ad eliminare il padre del criminale, a sua volta un pericoloso trafficante, segnando la vita di quello che all’epoca era solo un bambino innocente di cui negli anni è diventato una sorta di mentore, ovviamente con un’identità fittizia. Quando Luke arriva un Guyana, però, scopre una verità sconvolgente: l’agente Panda altri non è se non sua figlia Emma (Monica Barbaro), che in famiglia cela la propria identità sotto il velo di un’esistenza costellata di successi e vissuta nel pieno soddisfacimento delle aspettative paterne. Le bugie di Luke ed Emma, dunque, si svelano in un contesto molto pericoloso, che costringe padre e figlia a confrontarsi con sincerità, forse per la prima volta: questa improbabile coppia di agenti, infatti, non si risparmia dure recriminazioni, battute pungenti e coloriti scambi d’opinione in merito alle tattiche d’azione sul campo, coinvolgendo il pubblico nel turbine degli eventi con ironia e, nonostante il contesto criminale, tanta leggerezza.
Lo showrunner Nick Santora, già scrittore per serie del calibro di “Law & Order”, “Prison Break” e “Lie to Me” e creatore di “Scorpion”, ha ben calibrato azione e humor, in un prodotto che, non a caso, ricorda un grande successo della carriera cinematografica di Schwarzenegger, “True Lies” di James Cameron (1994), il cui protagonista è un’agente dell’intelligence che mantiene segreta la propria identità di uomo d’azione alla moglie -una fantastica Jamie Lee Curtis vincitrice di un Golden Globe per il ruolo-, vestendo i panni di un noioso uomo d’affari sempre in viaggio per lavoro.
In FUBAR si ritrovano sviluppate le medesime dinamiche: Santora è stato capace di arricchire una trama action coinvolgente ma, in generale, in linea con altre produzioni del genere, con le spassose vicissitudini familiari dei protagonisti, che oltre a strappare più di un sorriso, inducono a una riflessione genuina sul tema dei ruoli e delle aspettative, tradite o soddisfatte, in ambito familiare. Il punto di forza della serie, dunque, risiede proprio nello sviluppo dei rapporti tra i vari personaggi, per i quali è praticamente impossibile non provare empatia: non solo i protagonisti, con Schwarzenegger che conferma di essere maestro nell’ironizzare sul proprio eroismo “muscolare”, ma anche i comprimari, come la caustica Roo Russell (Fortune Feimster) e il pragmatico Aldon Reece (Travis Van Winkle), colleghi di Luke, e Carter (Jay Baruchel), imbranato fidanzato di Emma anch’egli ignaro della sua vera identità.
Con lungimiranza, Netflix ha scelto di rendere disponibile la serie nella sua interezza fin dalla data del rilascio: “un episodio tira l’altro”, si potrebbe dire, per uno show che si presta a un perfetto binge watching da fine settimana, soprattutto se si è alla ricerca di un prodotto di puro intrattenimento, che pur tra azioni in incognito, esplosioni e imboscate, si fa beffe di tanti, troppi eroi che avanzano tra le linee nemiche a colpi di mascella serrata e sguardi conturbanti.
Qual è il vero messaggio dell’attempato protagonista di FUBAR? Forse è racchiuso tra i versi di “Sympathy for the Devil” dei Rolling Stones, che ne accompagna i primi minuti sullo schermo: “Sono stato in giro per tanti, tanti anni” e ancora, “Piacere di incontrarvi, spero che indoviniate il mio nome, anche se ciò che vi confonde è la natura del mio gioco”.