Quando è stato presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la scorsa estate, il film “Ferrari” di Michael Mann è finito al centro di una vivace polemica, innescata dalle dichiarazioni di Pierfrancesco Favino, in merito alla scelta di un attore non italiano, in questo caso specifico l’americano Adam Driver, per la parte del protagonista, Enzo Ferrari, una delle personalità più note del nostro paese a livello mondiale.
La pellicola, disponibile nelle sale cinematografiche a partire dal 14 dicembre, si ispira al romanzo “Enzo Ferrari: The Man, The Cars, The Races, The Machine” di Brock Yates e si concentra su una manciata di mesi del 1957, decisivi per Enzo Ferrari e la sua azienda, sull’orlo del fallimento.
Michael Mann, dunque, e lo sceneggiatore Troy Kennedy Martin hanno scelto di focalizzare l’attenzione su un intervallo di tempo ristretto, paradigmatico dell’epopea personale e professionale del protagonista: non solo un punto di svolta fissato nella storia, ma piuttosto il canovaccio attraverso cui interpretare un’intera esistenza improntata alla sfida, titanica, contro se stessi e il mondo. Nel 1957, infatti, la famiglia Ferrari è segnata dalla morte di Dino Ferrari, primogenito di Enzo e di sua moglie Laura Garello (una straordinaria Penélope Cruz) scomparso a soli 24 anni a causa della distrofia di Duchenne; questa perdita aggrava la crisi coniugale della coppia, già provata dalla relazione di Enzo con Lina Lardi (Shailene Woodley) e dalla crisi economica dell’azienda di Maranello.
In un gioco di equilibri apparentemente impossibile da mantenere, tra elaborazione del lutto, amore e ossessione, Enzo Ferrari formula la strategia che, potenzialmente, potrebbe salvare il Cavallino Rampante, attirando i capitali necessari al rilanciando del marchio a livello mondiale e che consiste nella partecipazione e nella vittoria della Mille Miglia, la storica competizione automobilistica che all’epoca prevedeva l’itinerario Brescia-Roma-Brescia. La Ferrari partecipa alla corsa con quattro vetture della serie Sport: quelle guidate dai piloti Piero Taruffi (Patrick Dempsey) e Wolfgang von Trips tagliano il traguardo al primo e al secondo posto, mentre la Ferrari 335 S del pilota spagnolo Alfonso De Portago (Gabriel Leone), in terza posizione a pochi chilometri dal traguardo, salta la carreggiata a causa dello scoppio di uno pneumatico e si schianta su un gruppo di spettatori. L’episodio passa alla storia come la “tragedia di Guidizzolo”, località tra Mantova e Brescia, e provoca la morte di De Portago, del suo navigatore Edmund Nelson e di nove spettatori, tra i quali si contano cinque bambini: da questo momento in poi, la Mille Miglia, così come si era sempre svolta, cambia fino a trasformarsi nella “Mille Miglia di regolarità”, una gara a tappe che ancora oggi si svolge annualmente, riservata alle auto storiche.
La spettacolare vittoria della Scuderia Ferrari, che di fatto salva l’azienda, è dunque macchiata dalla fatalità di un incidente mortale, per cui Enzo Ferrari viene incriminato e rinviato a giudizio: l’assoluzione arriva nel 1961, ennesima sfida vinta da un uomo che Mann tratteggia nel film tra luci e ombre, evidenziandone combattività e fragilità anche grazie all’interpretazione di Adam Driver.
Nonostante le polemiche suscitate dalla scelta dell’attore, infatti, in parte giustificate anche dalla differenza d’età tra l’interprete (40 anni) e il personaggio nel 1957 (61 anni), Driver offre un’interpretazione estremamente convincente, giocata sull’attenzione ai piccoli dettagli, come la mimica facciale, la postura e la camminata inconfondibile di Enzo Ferrari, e sulla sua natura complessa e ambivalente: la spregiudicatezza del Drake (questo uno dei soprannomi di Ferrari, dal corsaro Francis Drake) si concretizza soprattutto nel perseguimento del risultato sportivo e lavorativo, mentre il dilemma esistenziale dell’uomo “Ferrari” emerge con evidenza soprattutto nel rapporto con le donne amate e i figli, lo sfortunato Dino e Piero, avuto da Lina Lardi e all’epoca impossibilitato a prendere il cognome del padre in quanto nato fuori dal matrimonio.
Michael Mann, appassionato dell’epopea del Cavallino Rampante, ha trascorso mesi in Italia per progettare il film, visitando i luoghi cari a Enzo Ferrari con la guida del figlio Piero, oggi a capo dell’impero familiare: non solo la casa di Modena, ma anche il circuito di Fiorano e l’azienda.
“Ho potuto esplorare le luccicanti parti meccaniche di un motore Lampredi V12 e le sculture dei modelli da corsa degli anni Cinquanta”, ha raccontato il regista, “Credo, però, che per tratteggiare al meglio la complessa personalità di Enzo Ferrari fosse necessario anche immergermi nella sua quotidianità, camminare sui marciapiedi del suo quartiere, per esempio, e sedermi sulla sua poltrona da barbiere: così ho cercato di far rivivere le passioni e il fascino di Enzo, la sua arguzia pungente, le sfuriate teatrali, la monumentale scommessa su una singola gara intrapresa nel 1957”.
Agli sportivi, cultori del mito della Ferrari, il compito di decretare la vittoria del Cavallino Rampante sul traguardo del grande schermo.