È la Hollywood dei ruggenti anni ’20 del Novecento, i “Roaring Twenties”, la protagonista assoluta di “Babylon”, il nuovo film di Damien Chazelle nelle sale a partire dal 19 gennaio; in 3 ore e 9 minuti di film, infatti, il regista tratteggia la grande fabbrica dei sogni made in USA in uno dei periodi più stimolanti della sua storia, caratterizzato dal passaggio dal cinema muto a quello sonoro.
Un cambiamento epocale, che fece la fortuna di una nuova generazione di artisti, ma segnò anche il malinconico commiato di molte stelle del cinema, per l’incapacità o il rifiuto di adattarsi alla nuova realtà: Hollywood nutre i sogni così come li infrange e Chazelle, capace di sviluppare con eleganza e originalità il tema delle aspirazioni artistiche realizzate e frustrate già nel pluripremiato “La La Land”, racconta l’industria cinematografica come un organismo multiforme e in continua evoluzione grazie all’innovazione tecnologica, una “Babilonia” di imprenditori e registi, sceneggiatori e tecnici, attori e attrici alla ricerca del successo, tra ambizione e talento, genio e vacuità, ingenuità e depravazione.
Il film si focalizza, in particolare, sulle vicende di Nellie LaRoy (Margot Robbie) e Manny Torres (Diego Calva), due aspiranti attori che arrivano a Hollywood decisi a realizzare i loro sogni: Nellie è molto sicura di sé, ha un carattere vivace e ben presto si trova a competere con un’altra diva in ascesa, Colleen Moore (Samara Weaving); Manny, svantaggiato per via delle sue origini messicane, deve invece accettare di cominciare la sua carriera come assistente alla regia. Attorno a Nellie e Manny ruota un mondo caotico, popolato di personaggi capaci di raccontare con grande efficacia un pezzo della vecchia Hollywood, dalle vette del potere ai margini del sistema: c’è Jack Conrad (Brad Pitt), famoso divo del cinema muto che comprende, suo malgrado, di essere una star in decadenza e vive un rapporto complicato con la moglie Ina (Olivia Wilde); ci sono il trombettista jazz Sidney Palmer (Jovan Adepo) e la cantante di cabaret Lady Fay Zhu (Li Jun Li), che cercano di emergere nel panorama musicale; ci sono Elinor St. John (Jean Smart), giornalista votata principalmente al gossip sulla vita delle star, e George Munn (Lukas Haas), produttore di successo e amico fraterno di Jack Conrad. Le diverse linee narrative si aprono e si intersecano, componendo un affresco corale in cui anche i personaggi minori lasciano il segno: è il caso James McKay, interpretato da un irriconoscibile Tobey Maguire, personaggio ispirato a Charlie Chaplin; nel cast spiccano inoltre Eric Roberts, Katherine Waterston e Flea, bassista e cofondatore dei Red Hot Chili Peppers.
“L’idea alla base del film è quella di offrire al pubblico un racconto coinvolgente”, ha raccontato Chazelle, sceneggiatore oltre che regista della pellicola, “In quegli anni Hollywood era completamente folle, funzionava un po’ come il selvaggio West: ognuno faceva la corsa a modo suo, senza regole e senza limiti di alcun tipo”. Gli aspetti più scioccanti del racconto, tuttavia, rappresentano solo una faccia della medaglia; nelle interviste promozionali, Brad Pitt ha sottolineato quanto il suo personaggio incarni una profonda malinconia: “Penso che in Jack Conrad ci sia una crescente stanchezza, che prende il sopravvento mentre la sua storia va avanti. Jack non è più giovane e, nonostante sia ancora famoso, comprende di essere solo l’ingranaggio di un meccanismo molto più grande di lui”.
Come un prisma, dunque, il film riflette le differenti sfaccettature del mondo del cinema, tra luci e ombre; la narrazione prende le mosse nel 1926, nel 1927 uscirà “The Jazz Singer”, la prima pellicola che, oltre alle musiche, presenta un breve inserto dialogato, seguita nel 1928 da “Lights of New York”, interamente parlato: si racconta, dunque la fine di un’epoca, che sbiadisce nell’inizio di una nuova, rivoluzionaria era. Nell’evidenziare il punto di rottura col passato, Chazelle racconta attraverso prospettive differenti la reazione al cambiamento: caos, perdizione, edonismo, ma anche nuove opportunità, con nuovi protagonisti pronti a trovare il loro posto nel mondo. Non sempre ci sarà l’happy ending, il lieto fine tanto caro al cinema, perché, come ha suggerito Brad Pitt nelle sue dichiarazioni, la malinconia rappresenta la lente più corretta attraverso cui leggere il film, quasi una firma nelle narrazioni di Chazelle.
Come in tutte le pellicole del regista, che da giovanissimo mirava a diventare un affermato batterista -uno dei suoi film più famosi, “Whiplash”, è in gran parte autobiografico e racconta il controverso rapporto tra un insegnante di musica e il suo talentuoso allievo-, anche la colonna sonora di “Babylon” è estremamente curata ed è affidata a Justin Hurwitz, collaboratore abituale di Chazelle; in tre anni di lavoro il compositore ha realizzato ben 48 brani originali, disponibili all’ascolto sul canale YouTube di Interscope Records, in cui spiccano gli assoli di tromba e sassofono di Sean Jones e Jacob Scesney.
“Babylon” ha esordito negli Stati Uniti lo scorso dicembre e ha diviso la critica: rutilante, eccessivo, coraggioso, il film percorre generi cinematografici differenti con accuratezza filologica, ma resta, soprattutto, un atto d’amore verso Hollywood. Si aprono le porte della fabbrica dei sogni senza nascondere crepe e malfunzionamenti del sistema: la meraviglia resta intatta, ma il prezzo del successo, per i protagonisti di questa epopea, va ben oltre quello di un buon risultato al botteghino.