Sabato scorso si è svolto l’incontro tra la scrittrice Cristina Obber e due classi del Salvator Ruju di Sassari, per la presentazione del suo ultimo libro “Era solo un selfie”.
La giornalista e scrittrice, che si occupa di tematiche legate al mondo femminile ha affrontato molteplici temi: dal sexting al revenge porn ai tranelli della rete, passando per la parità di genere e gli stereotipi della società.
“Ciò che adesso rende tutto pericoloso è la velocità. Non pensiate che la vostra generazione abbia desideri diversi da quella dei vostri genitori. Anche ai miei tempi potevamo avere piacere di mandare delle foto sensuali ai nostri fidanzati, ma per farlo dovevamo farcele scattare da qualcuno, portarle a sviluppare e poi andare a imbucarle in una cassetta delle lettere, ora basta un click… e questo tempo piccolissimo a volte non ci dà modo di riflettere abbastanza sul gesto che stiamo per compiere e sulle sue potenziali conseguenze”. Ha affermato la Obber, senza giudicare i giovani per quello che fanno, ma mettendosi dalla loro parte e comprendendo il loro stato d’animo. La chiave è non giudicare, ma capire come ci si sente. E ancora “non abbiate paura di parlare con gli adulti, a volte sono dei rompiscatole, ma sono dalla vostra parte”.
La giornalista ha raccontato al pubblico i casi di Carolina Picchio e Tiziana Cantone, morta una a 14 anni e l’altra a 31, dimostrando che il revenge porn è un reato gravissimo che miete vittime di tutte le età.
Ha sottolineato chiaramente che chi riceve e a sua volta condivide è penalmente responsabile al pari di chi per primo fa partire le immagini incriminate. Possono trascorrere anche un paio di anni prima che la polizia postale riesca a rimuovere tutto, ma c’è sempre il pericolo che qualcosa sia stato scaricato e possa riemergere in seguito. Le vittime vivono così in uno stato di terrore che non le abbandona mai e spesso decidono di uccidersi perché il peso che la società gli butta addosso è troppo grande.
Alla base di tutto c’è una cultura nella quale la parità di genere stenta ancora a decollare. Gli episodi in cui una ragazza è relegata in un ruolo stereotipato sono innumerevoli e quel che è più grave è che siamo talmente assuefatti a piccole violenze quotidiane, che stentiamo a riconoscerle. Come quando riteniamo che un apprezzamento per strada sia bello e spontaneo e che sia giustificato dalla bellezza o dal vestiario che una sceglie di adottare in quella particolare occasione.
“Ci raccontano la storia romantica della mezza mela: dobbiamo cercare la nostra metà per stare bene. E invece io dico che siamo mele succose e già complete che sono ancora più felici quando stanno accanto ad altre belle mele, ma dobbiamo capire che se rimaniamo soli è umano stare male, ma la nostra vita non finisce.” In questo modo ha spiegato ai ragazzi che la dipendenza emotiva, il sentirsi incompleti senza l’altro/a può degenerare in gelosia patologica, prepotenza e violenza, fino ad arrivare ai femminicidi.
La partecipazione al dibattito è stata viva, sia da parte della componente studentesca che da quella docenti, con diverse opinioni espresse, non sempre concordi con quanto affermato dalla relatrice, mostrando come pur nella diversità di opinioni serva tutta la cultura, l’educazione e l’informazione per la costruzione di individui più maturi e aperti.
Dal dibattito è emerso come non ci siano ricette educative innovative da perseguire solo a livello scolastico quanto piuttosto un ripensamento globale della società stessa, in cui chiunque di noi è chiamato a fare la propria parte, consapevolmente e quotidianamente.