L’arte dell’intreccio è l’acquisizione tecnica forse più antica e più diffusa al mondo ed è, nella sua apparente semplicità, una delle massime espressioni della capacità manuale dell’uomo.
Come tutte le abilità artigianali sviluppatesi agli albori della civiltà, anche l’intreccio è nato dall’evoluzione, perché l’uomo si è trovato spesso a dover creare degli strumenti che potessero migliorare o semplificare la propria qualità di vita.
Così, con la sua innata curiosità, l’essere umano ha carpito e imitato i segreti di madre natura e, grazie alla sua intelligenza superiore, li ha perfezionati fino a farli diventare una vera e propria arte.
In Sardegna l’arte dell’intreccio si è diffusa fin dalla preistoria soprattutto grazie alla cospicua reperibilità dei materiali e le tecniche di lavorazione si sono affinate nel corso dei secoli per renderla piacevole alla vista, oltre che più funzionale possibile.
Oltre all’utilità infatti, i cestini avevano anche uno scopo decorativo: nell’ambiente agro pastorale spesso le case erano sprovviste di mobili o suppellettili e queste realizzazioni diventarono complesse e con rifiniture di pregio, proprio per sopperire a questa mancanza.
Queste piccole opere d’arte venivano esposte su ripiani oppure alle pareti e molte case odierne, particolarmente fedeli alla tradizione, ne fanno ancora bella mostra.
In Sardegna il cesto sardo è generalmente di tre tipi: sa corbula, sa canistedda e sa pischedda.
La Corbula è il cestino d’arredo e di utilità domestica per eccellenza: la sua forma conica a campana rovesciata lo rende indispensabile per l’uso quotidiano e talvolta può essere completato da un coperchio decorato.
I materiali con cui si realizza sono vari e tutti donati dalla natura: la paglia di grano, l’asfodelo, il giunco o la rafia ottenuta dalla palma nana. La tecnica utilizzata per l’intreccio è detta “a crescita continua” in quanto procede a spirali e ogni giro viene ancorato a quello precedente grazie a un oggetto appuntito che funge da ago e ferma i punti.
Le custodi più esperte sono senza dubbio le donne sarde, che non si limitano alla creazione e all’abbellimento dei cestini con dischi di stoffa, ma che preparano i materiali di utilizzo in modo preciso e minuzioso.
Le piante, ad esempio, devono essere raccolte in particolari periodi dell’anno, in armonico accordo con la natura e le fasi lunari in quanto possono essere facilmente deperite dall’aggressiva incursione di muffe o micro animali.
Successivamente, le piante devono essere divise, ridotte a strisce e fatte essiccare al sole per un determinato periodo sia per mantenere inalterato l’aspetto naturale e il colore del cesto, sia per preservarne la resistenza negli anni.
Generalmente questa tipologia di cesto si divide per dimensione e può essere crobi manna, utile per la conservazione del pane; crobedda, di medie dimensioni, può contenere frutta, verdure e dolci; crobededda, più piccola e usata come cestino da tavola per il pane a fette e per le uova.
Già nelle antiche comunità pastorali e artigianali sarde, la corbula era uno degli elementi fondamentali e immancabili del corredo definito “strexu de fenu”, ossia stoviglie di fieno, che le spose portavano in dote in occasione delle loro nozze.
La Canistedda è invece un cesto largo dai bordi bassi che può variare di dimensione in base all’utilizzo: principalmente si adopera come contenitore per le spianate o per il pane carasau in quanto, soprattutto se provvista di coperchio, ne garantisce la fragranza e la conservazione per lunghi periodi.
Le donne però, con il loro adorabile modo di arrangiarsi, lo hanno utilizzato spesso, e continuano a farlo ancora oggi, per modellare e imprimere decori negli gnocchetti, i maccarones de punzu, che vengono pigiati sul fondo del cestino finché non assumono il classico motivo decorativo che li distingue.
In questo caso le tecniche di intreccio sono più complesse perché le materie prime naturali si alternano a inserimenti colorati di rafia e di broccato, spesso graziosi ciuffi variopinti adornano il coperchio e la trama si fa più ardita, con ricami complessi e di grande impatto visivo.
La Pischedda, invece, è il cestino da lavoro e trasporto per antonomasia. Essendo infatti l’unico cestino sardo con il manico, si presta per la raccolta e il trasporto di frutta, funghi, finocchietto selvatico o altri alimenti.
La tradizione collocherebbe l’origine del cestino sardo al periodo nuragico ma il suo sviluppo più significativo è avvenuto solo successivamente, quando i modelli divennero particolarmente resistenti.
Molti modelli antichissimi di cestini sono custoditi al Museo dell’intreccio mediterraneo di Castelsardo, vero tempio e custode di manufatti molto preziosi.
L’arte della cestineria è diffusa su tutta l’isola e le tecniche di intreccio sono fondamentalmente uguali, cambiano invece il materiale di utilizzo e il tipo di decoro.
Nelle zone limitrofe al mare o agli stagni (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo) i materiali più utilizzati sono il giunco, la paglia o la palma nana.
Essendo zone perlopiù turistiche, i cestini sono ricchi di decori e applicazioni (nel Campidano, per esempio, si usano elementi aggiuntivi di lana, cotone e tessuti pregiati).
Nelle zone collinari, l’asfodelo resta il materiale più utilizzato. Qui la tradizione è maggiormente ancorata al passato tanto che i colori restano più naturali.
Ed ecco un’altra forma di ricchezza, un’altra eccellenza sarda, che regala alla nostra splendida isola un altro importante riconoscimento a livello internazionale.