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Il cesto sardo, l’antica arte dell’intreccio

di Manuela Pierro
31 Ottobre 2019
in Arte, Sardegna
🕓 5 MINUTI DI LETTURA
374 4
Credits Elisabetta Messina. License CC BY-NC-SA

Credits Elisabetta Messina. License CC BY-NC-SA

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L’arte dell’intreccio è l’acquisizione tecnica forse più antica e più diffusa al mondo ed è, nella sua apparente semplicità, una delle massime espressioni della capacità manuale dell’uomo.

Come tutte le abilità artigianali sviluppatesi agli albori della civiltà, anche l’intreccio è nato dall’evoluzione, perché l’uomo si è trovato spesso a dover creare degli strumenti che potessero migliorare o semplificare la propria qualità di vita.

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Così, con la sua innata curiosità, l’essere umano ha carpito e imitato i segreti di madre natura e, grazie alla sua intelligenza superiore, li ha perfezionati fino a farli diventare una vera e propria arte.

In Sardegna l’arte dell’intreccio si è diffusa fin dalla preistoria soprattutto grazie alla cospicua reperibilità dei materiali e le tecniche di lavorazione si sono affinate nel corso dei secoli per renderla piacevole alla vista, oltre che più funzionale possibile.

Oltre all’utilità infatti, i cestini avevano anche uno scopo decorativo: nell’ambiente agro pastorale spesso le case erano sprovviste di mobili o suppellettili e queste realizzazioni diventarono complesse e con rifiniture di pregio, proprio per sopperire a questa mancanza.

Queste piccole opere d’arte venivano esposte su ripiani oppure alle pareti e molte case odierne, particolarmente fedeli alla tradizione, ne fanno ancora bella mostra.

In Sardegna il cesto sardo è generalmente di tre tipi: sa corbula, sa canistedda e sa pischedda.

Corbula. Foto ISRE Nuoro

La Corbula è il cestino d’arredo e di utilità domestica per eccellenza: la sua forma conica a campana rovesciata lo rende indispensabile per l’uso quotidiano e talvolta può essere completato da un coperchio decorato.

I materiali con cui si realizza sono vari e tutti donati dalla natura: la paglia di grano, l’asfodelo, il giunco o la rafia ottenuta dalla palma nana. La tecnica utilizzata per l’intreccio è detta “a crescita continua” in quanto procede a spirali e ogni giro viene ancorato a quello precedente grazie a un oggetto appuntito che funge da ago e ferma i punti.

Le custodi più esperte sono senza dubbio le donne sarde, che non si limitano alla creazione e all’abbellimento dei cestini con dischi di stoffa, ma che preparano i materiali di utilizzo in modo preciso e minuzioso.

Le piante, ad esempio, devono essere raccolte in particolari periodi dell’anno, in armonico accordo con la natura e le fasi lunari in quanto possono essere facilmente deperite dall’aggressiva incursione di muffe o micro animali.

Successivamente, le piante devono essere divise, ridotte a strisce e fatte essiccare al sole per un determinato periodo sia per mantenere inalterato l’aspetto naturale e il colore del cesto, sia per preservarne la resistenza negli anni.

Generalmente questa tipologia di cesto si divide per dimensione e può essere crobi manna, utile per la conservazione del pane; crobedda, di medie dimensioni, può contenere frutta, verdure e dolci; crobededda, più piccola e usata come cestino da tavola per il pane a fette e per le uova.

Già nelle antiche comunità pastorali e artigianali sarde, la corbula era uno degli elementi fondamentali e immancabili del corredo definito “strexu de fenu”, ossia stoviglie di fieno, che le spose portavano in dote in occasione delle loro nozze.

Canistedda. Antonello Utzeri – Villaputzu. Foto sardegnaartigianato.com

La Canistedda è invece un cesto largo dai bordi bassi che può variare di dimensione in base all’utilizzo: principalmente si adopera come contenitore per le spianate o per il pane carasau in quanto, soprattutto se provvista di coperchio, ne garantisce la fragranza e la conservazione per lunghi periodi.

Le donne però, con il loro adorabile modo di arrangiarsi, lo hanno utilizzato spesso, e continuano a farlo ancora oggi, per modellare e imprimere decori negli gnocchetti, i maccarones de punzu, che vengono pigiati sul fondo del cestino finché non assumono il classico motivo decorativo che li distingue.

In questo caso le tecniche di intreccio sono più complesse perché le materie prime naturali si alternano a inserimenti colorati di rafia e di broccato, spesso graziosi ciuffi variopinti adornano il coperchio e la trama si fa più ardita, con ricami complessi e di grande impatto visivo.

Pischedda. Antonello Utzeri – Villaputzu. Foto sardegnaartigianato

La Pischedda, invece, è il cestino da lavoro e trasporto per antonomasia. Essendo infatti l’unico cestino sardo con il manico, si presta per la raccolta e il trasporto di frutta, funghi, finocchietto selvatico o altri alimenti.

La tradizione collocherebbe l’origine del cestino sardo al periodo nuragico ma il suo sviluppo più significativo è avvenuto solo successivamente, quando i modelli divennero particolarmente resistenti.

Molti modelli antichissimi di cestini sono custoditi al Museo dell’intreccio mediterraneo di Castelsardo, vero tempio e custode di manufatti molto preziosi.

L’arte della cestineria è diffusa su tutta l’isola e le tecniche di intreccio sono fondamentalmente uguali, cambiano invece il materiale di utilizzo e il tipo di decoro.

Cestini di Flussio. Credits Regione Autonoma della Sardegna. License CC BY-NC-SA.

Nelle zone limitrofe al mare o agli stagni (San Vero Milis, Sinnai, Castelsardo) i materiali più utilizzati sono il giunco, la paglia o la palma nana.

Essendo zone perlopiù turistiche, i cestini sono ricchi di decori e applicazioni (nel Campidano, per esempio, si usano elementi aggiuntivi di lana, cotone e tessuti pregiati).

Nelle zone collinari, l’asfodelo resta il materiale più utilizzato. Qui la tradizione è maggiormente ancorata al passato tanto che i colori restano più naturali.

Ed ecco un’altra forma di ricchezza, un’altra eccellenza sarda, che regala alla nostra splendida isola un altro importante riconoscimento a livello internazionale.

Tags: artigianatocesto sardointreccioSardegna
Manuela Pierro

Manuela Pierro

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A Mamoiada, nel cuore della Barbagia di Ollolai, si trova una pietra che cela un affascinante enigma: Sa Perda Pintà, la pietra decorata.

Alta quasi 3 metri e con uno spessore di mezzo metro circa, la lastra granitica è costellata da una serie di decorazioni concentriche, lineari e a coppella.

Le sue origini risalgono al Neolitico recente, quando forse faceva da guardiana ad un’area atta al compimento di riti sacri.

Il significato delle misteriose incisioni è ancora sconosciuto, ma si ipotizza che siano legate a culti della fertilità, del ciclo vita e morte o alla Dea Madre.

Sa Perda Pintà è un simbolo affascinante e misterioso, che ci riporta alle origini della Sardegna.

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  • Esplorando il complesso di Seruci a #Gonnesa, un monumento straordinario che ci svela la grandezza della civiltà nuragica. Questo sito di sei ettari racchiude un nuraghe complesso, un villaggio di capanne e persino una tomba di Giganti.

Il mastio centrale, con un diametro di 60 metri, ci trasporta indietro nel tempo fino al Bronzo recente, con le sue tre celle sovrapposte. Le torri circostanti, alcune ancora in buono stato, celano segreti millenari. 

All’interno delle celle, puoi ammirare pavimenti forse rivestiti di sughero e toccare la pietra totemica di fondazione. Uscendo verso nord, troverai una vasca per abluzioni e uno spettacolare teatro gradonato. 

Questo luogo, risalente al Bronzo finale, è uno dei più grandi “quartieri” nuragici in Sardegna, con oltre cento capanne circolari. Il villaggio si sviluppa su pendici circostanti, ed è stato un centro di ritrovo e di scambio commerciale. 

Non lontano, una tomba di Giganti testimonia il servizio funerario della comunità. 

Dalla collina circostante, ammirerai il panorama e noterai altri insediamenti nuragici coevi, collegando così Seruci a una storia millenaria. 

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  • La Festa del Redentore, uno tra i più significativi e seguiti appuntamenti dell’estate di #Nuoro.

La ricorrenza viene celebrata, con cadenza annuale, per ricordare la collocazione, avvenuta nel 1901, della statua bronzea del Cristo Redentore sulla cima del Monte Ortobene e la conseguente benedizione di quest’ultimo.

Connubio perfetto tra cerimonia religiosa e manifestazione civile, essa rappresenta una delle festività maggiormente radicate nella Sardegna centrale e rappresenta, assieme alla Festa di Sant’Efisio a Cagliari e alla Cavalcata Sarda sassarese, uno dei più grandi raduni folkloristici dell’isola.

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  • 💛❤ Alghero, città di mare e di cultura, si racconta in due video promozionali realizzati dall’Amministrazione comunale con l’assessorato alla Cultura e Turismo, in collaborazione con la Fondazione Alghero e il Parco Regionale di Porto Conte.

I video sono accompagnati dalla canzone “Domo Mea” dei Tazenda, cantata in cinque lingue diverse.

Le immagini del primo video mostrano le bellezze naturali e architettoniche di Alghero, dal molo di sottoflutto alla spiaggia di Mugoni, dal nuraghe Palmavera al bastione Marco Polo, dall’Isola Foradada alla torre del Museo Antoine De Saint-Exupéry di Porto Conte.

Oltre ai Tazenda, alla realizzazione dei video hanno contribuito numerosi artisti e musicisti algheresi e sardi, tra cui Salvatore Maiore, Paolo Zuddas, Enzo Favata, Gavino Murgia, Denise Gueye, Claudia Crabuzza, Davide Casu e Claudette.

👆🏻 Clicca sul link in bio per leggere l’articolo completo
  • 💋 Immersa nella costa più selvaggia di Sant’Antioco, la fantastica insenatura di “Is Praneddas” è un autentico gioiello dell’Isola. 

Per arrivarci dovrai percorrere un sentiero breve e affascinante, che attraversa pini e macchia mediterranea per poi lasciare spazio alle rocce e alla scogliera e, infine, al profondo blu di un mare sconfinato. 

Resterai meravigliato dalle splendide forme scolpite dalla natura e dal tempo, dal maestoso Arco dei Baci: un monumento naturale di incredibile bellezza, romantico e dalle mille suggestioni, che si apre sul mare incantando i visitatori. 

A Is Praneddas potrai immergerti nella piccola piscina naturale che fa da cornice all’Arco dei Baci e nuotare nelle sue acque placide e poco profonde.

Ma con qualche bracciata in più, potrai superare idealmente le “Colonne D’Ercole” dell’arco roccioso che sovrasta la piscina per proseguire verso il blu intenso del mare aperto: un vero spettacolo per gli amanti della natura selvaggia, in grado di regalare emozioni indelebili.

📷 Grazie a @travelinthewildsardinia per lo scatto.

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  • Le donne chiudono i festeggiamenti per San Salvatore. A dieci giorni dalla prima processione che ha visto trecento donne di tutte le età accompagnare scalze, tra preghiere e canti, la piccola statua di Santu Srabadoeddu da Cabras al villaggio, questa mattina si è compiuto il percorso inverso e si sono conclusi i festeggiamenti in onore di San Salvatore, organizzati dal Comune di #Cabras, dal Comitato dei festeggiamenti di San Salvatore e con la collaborazione dell’Associazione Is Curridoris, dell’Associazione Santu Srabadoeddu e dell’Associazione Enti Locali per le attività culturali e di spettacolo.

Questa mattina, all’alba, il novenario di San Salvatore ha vissuto gli ultimi istanti di una festa attesa per tutto l’anno a Cabras. Le trecento fedeli si sono radunate attorno al piccolo santuario e da lì, dopo aver partecipato alla messa, si sono dirette verso il paese. 

Sono stati sette chilometri ricchi di passione e di sensazioni contrastanti. Gioia, commozione, fatica, dolore, orgoglio erano percepibili sui volti delle scalze di Cabras.
  • ⛵️ Sulle rive di uno dei mari più suggestivi del sud della #Sardegna, c
  • 🌑 La caletta vicino alla famosa piscina naturale di Cane Malu a #Bosa, una bellissima insenatura a forma di cuore… o è una testa di gatto?

Ci siete mai stati?

📷 Grazie a @dani____m per gli scatti.

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  • 🛥️ Buona serata da Castelsardo

📷 Grazie a @simone_ro80 per lo scatto.

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