“Prendendo spunto da un appello giunto il 25 gennaio dalla sezione femminile del carcere di Uta, Caminera Noa intende denunciare come le carceri siano strutture che non risolvano affatto le contraddizioni della nostra società, nella quale chi sbaglia finisce a scontare la propria pena in luoghi tutt’altro che adatti al recupero e al reinserimento dei condannati. Accade questo perché le carceri italiane si basano sul concetto della pena da scontare piuttosto che su quello del recupero dei detenuti. Per questa stessa ragione non vi è un vero dibattito sulle forme di recupero alternative di chi nella nostra società ha commesso dei reati. Le carceri sono unicamente luoghi di sofferenza e di isolamento affettivo e relazionale, spesso sovraffollate e in condizioni strutturali precarie in cui vengono a mancare, come raccontato nel caso della sezione femminile del carcere di Uta, persino il vitto, costrette a reperirlo nella sezione maschile, e dove si vive in scarse condizioni igienico-sanitarie e di grandissimo disagio psicologico”, scrive Giulia Carta, responsabile alle politiche di genere per Caminera Noa.
“Pensiamo che a Uta si stiano negano i diritti delle detenute, in un contesto in cui vengono lasciate ad ammalarsi e a soffrire in solitudine, condannate a svolgere mansioni non dovute e non retribuite, sempre come dichiarato nell’appello lanciato dalle detenute. A distanza di venti giorni non arrivano infatti notizie che facciano pensare che qualcosa di concreto sia stata fatta per risolvere ad una situazione evidentemente non più sopportabile”.
“Caminera Noa chiede quindi un intervento immediato delle istituzioni affinché si ponga prontamente fine ai disagi che da tempo si denunciano dall’interno delle mura del carcere. Evidenziamo inoltre come lo Stato italiano sia tenuto al rispetto dei diritti sanciti dalla carta di Parigi del 10 aprile 1949, di cui ricordiamo in particolare l’art. 5: Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.”, conclude la responsabile alle politiche di genere per Caminera Noa.
LETTERA DALLA SEZIONE FEMMINILE DEL CARCERE DI UTA
Ti disturbo perché le cose in questo carcere sono assurde e vorrei che se fosse possibile potessi far sapere al di fuori cosa succede qui dentro.
In primis siamo detenute presso il femminile, il quale è tutto positivo al covid e la struttura carceraria non è in grado a tutt’oggi di sostenere la situazione e garantire le condizioni sanitarie necessarie. Il potenziale penitenziario è praticamente dimezzato. E sono tutte senza guanti. Ogni cosa ti viene passata senza essere igienizzata. Non essendoci lavoranti poiché siamo solo in 10, stanno facendo fare a quelle poche rimaste mansioni per le quali poi non vengono nemmeno pagate. A me, per esempio, mi stanno facendo pulire due sezioni insieme e invece di zone canoniche ne faccio molte di più e solo 5 giorni dai contagi mi hanno munito di appositi sostegni sanitari anti contagio. Nella zona telefono vi hanno messo uno spray tipo sgrassatore, neanche dell’amuchina. Gli stracci con cui lavo dovrebbero essere igienizzati o dati dei nuovi. Non ci forniscono né mascherine né calzari adeguati se entriamo in area covid. Il mangiare ci viene passato dal maschile con pentoloni e non sappiamo se essi possano essere infetti, mentre dovrebbero essere dati in porzione con piatti monouso da gettare. I medici non vengono mai, né medici di primo soccorso né psicologi né psichiatri e siamo chiuse nelle celle dai primi di gennaio. Le porta vitto oltre a portare il vitto, devono scendere in cucina a lavare le pentole da rendere al maschile. Tutto questo gratis. Nel mese precedente ci hanno dimezzato le ore poiché non vi erano fondi e continuano ad aumentare i prezzi del sopravvitto. Situazioni ancora più gravi come tenere una detenuta con richiesta di divieto d’incontro una notte con quella stessa detenuta per cui aveva richiesto di essere spostata, perché minacciosa e pericolosa essendo e avendo già avuto precedenti violenti per cui ha ottenuto già da altre detenute divieti e denunce. Tutto questo perché non poteva stare sola in camera poiché a rischio suicidale. Gli avrebbero dovuto dare il piantonamento.
Non vi sono riabilitazioni di nessun genere, né da parte dei Serd, né da parte delle stesse educatrici che non vediamo mai, siamo lasciate a noi stesse e stiamo ammalandoci sia fisicamente che psicologicamente. Sicuramente abbiamo sbagliato nella nostra vita ed è giusto pagare, ma a volte si sbaglia non perché di indole delinquenti e vorremmo che il carcere in primis sia una struttura dove si possa capire e poter rinascere ricreandoci una nuova vita, perché anche se erranti siamo comunque Donne, mamme e mogli che fuori da questa porta carceraria, vogliamo tornare con la voglia di migliorarsi e tornare dai loro cari con speranze e con degli scopi per non varcare più questa maledetta porta di ferro, dove tutto accade ma nessuna sa. Dove tutti muoiono, ma il tutto viene taciuto, dove nessuno parla tutto rimane all’interno di queste fredde mura che ci stanno spezzando e degradando giorno dopo giorno.
Ma dentro di noi c’è un grido forte d’AIUTO e spero che queste grida possano oltrepassare queste mura e farsi sentire per poter cambiare tutto ciò.
Chiediamo almeno durante questa gravissima situazione incontenibile ed ingestibile di essere mandate ai domiciliari, la cosa sta veramente degenerando e noi non vogliamo morire qui dentro per la negligenza di un’amministrazione che non è capace di gestire una cosa così pesante e gravosa.
Ti ringraziamo e speranzose attendiamo un VERO AIUTO
Uta, 25 gennaio 2022
Le detenute