Stop all’uso dei social per i minori di 15 anni, salvo se espressamente – e formalmente – autorizzato dai genitori o da chi ne è tutore. E regole anche per i cosiddetti “baby influencer”, per limitare l’esposizione online dei bambini e garantirne la frequenza scolastica, con in più il divieto di utilizzo da parte dei genitori dei proventi generati superiori ai 10mila euro annui, quando non diversamente stabilito dal Tribunale dei minorenni.
Ha messo d’accordo tutta la politica italiana il disegno di legge “Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale”, già entrato in fase emendativa in Senato e oggetto stamattina di un convegno a Palazzo Madama: il provvedimento reca le firme di tutti i gruppi parlamentari tranne Azione, M5S e Avs, che avevano presentato testi simili e che stanno lavorando a una convergenza, e ha come pilastro la responsabilizzazione delle piattaforme online, obbligandole a effettuare – e se necessario provare – la verifica dell’età degli utenti e al tempo stesso dichiarando nullo qualsiasi contratto concluso tra le suddette aziende e i minori di 15 anni.
Ad accompagnare il ddl, durante l’incontro nella Sala Caduti di Nassiriya, organizzato dalla senatrice Simona Malpezzi (Pd), è stata presentata la petizione “Stop smartphone e social sotto i 16 e i 14 anni”, appello lanciato dagli esperti Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Cpp – Centro psicopedagogico, e Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, che in pochi giorni ha raccolto 50mila sottoscrizione, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 100mila.
Il provvedimento è stato illustrato dalle due prime firmatarie in Senato e alla Camera, la senatrice di Fratelli d’Italia, Lavinia Mennuni e la deputata del Pd, Marianna Madia. “Tanti Paesi stanno cercando di capire come regolamentare questa pervasività dei social nei minori, pensiamo all’Australia, alla Francia, alla dichiarazione importantissima dell’Ue”, ha ricordato Mennuni. Sottolineando che “nessuno mette in discussione internet con tutto il suo carico di maggiore democrazia dell’accesso alle notizie, ma è un fenomeno che va regolamentato. La rete, così straordinaria, non è però a misura di bambino”. E quindi, “così come all’epoca ci fu una regolamentazione della tv, oggi come legislatori abbiamo il dovere di unirci: questo ddl porta le firme di Pd, Fdi, Fi, Lega, praticamente tutto l’arco parlamentare ha deciso di unirsi per affrontare questo grande tema”.
Il punto principale della proposta è spostare il carico di responsabilità dalle famiglie alle stesse piattaforme: “L’Istat dice che i ragazzi tra i 16 e i 18 anni passano in media 8 ore al giorno sui social media, perciò quando si parla di famiglia che deve educare i ragazzi e risolvere il problema rimango basita e rilevo un certo anacronismo – ha continuato Mennuni – perché la famiglia oggi non è più quella di un tempo: le madri sono lavoratrici, c’è meno presenza di figure che possono svolgere quel ruolo e al contempo c’è un apparecchio così piccolo che apre ai nostri ragazzi le porte di qualunque dato con filtri piuttosto ridotti”.
Questo tema, ha spiegato Madia, “si sta discutendo in tutto il mondo avanzato, con istituzioni nazionali e locali che iniziano a prendere decisioni. Così come la Commissione europea uscente ha promosso un focus importante sugli effetti sulla salute fisica e mentale dei social, e sono convinta che questo filone verrà proseguito nella prossima commissione”. Per Madia “il punto più importante della proposta è verificare l’età di chi sta sui social e su internet. E come lo facciamo? Dando la responsabilità della mancata verifica alle piattaforme. Questo è il punto, sia per decidere insieme l’età giusta, sia per rendere attuabile una norma europea che già esiste e che dice che i minori di 18 anni non possono essere profilati nei consumi, ed è gravissimo che la mancata verifica dell’età renda la norma esistente del tutto inattuata”.
Fonte Agenzia DIRE.it