Gigi Camedda, Gino Marielli, Nicola Nite. In una parola: Tazenda.
Soltanto pronunciandola esplodono i ricordi: i successi a Sanremo, le piazze gremite, gli spettacolari duetti con cantanti di risalto. E a risentire “Spunta la Luna dal Monte”, “Domo Mea”, “Mamoiada”, possiamo quasi vedere gli olivastri scolpiti dal vento, il giallo d’elicriso che divampa sulle rocce, sentirci parte del popolo sardo che a testa alta racconta se stesso mentre indaga la dimensione umana.
I Tazenda sono un gruppo che ha sempre trattato tematiche importanti veleggiando sui mari sonori di un’isola dura e misteriosa, tendendo la mano anche a un pubblico digiuno di tramonti sardi senza mai corrompere la propria fonte d’ispirazione e la loro intuizione nell’esaltare le proprie origini. Ma chi pensa di inquadrarli come “gruppo folk” o “gruppo sardo” non ha fatto i conti con la loro capacità di lasciarsi ispirare da sonorità che seppur possono sembrare lontane dal loro background ne sono stati invece i capisaldi: gli inarrestabili pezzi da spiaggia dei Beach Boys, la varietà compositiva dei Queen, il divertissement pop dei Beatles, la sperimentazione rock anni ‘60, la dance anni ‘90, la dolcezza del melodico italiano e la poesia del cantautorato, compongono il terreno fertile che ha generato l’ultimo esplosivo nuovo album Antìstasis, ove chi era abituato a suoni tradizionali verrà investito da ritmi trascinanti e invitato a riflettere su profondità tematiche trattate senza pesantezza alcuna.
Antìstasis (Resistenza in greco classico) arriva come ventesimo album tra live, raccolte, e progetti in studio, e ci regala 11 tracce inedite cantate in italiano, logudorese ed inglese, dove linee vocali strutturate sulla voce di Nicola Nite (che dal 2013 si è unito ai due fondatori imprimendo un interessante cambio di registro vocale) incalzano su costruzioni musicali luminose e ricche, in cui gli storici Gigi Camedda e Gino Marielli si divertono a ricamare ingressi di nuovi strumenti su un tessuto pop tutt’altro che prevedibile, prendendoci per le mani e facendoci alzare dalla sedia per andare a ballare. La nostalgia dei concerti comincia a farsi sentire, ed è per questo che il gruppo ha deciso di offrire al pubblico l’opportunità di conoscere l’album tramite un sorprendente spettacolo (trasmesso ieri notte direttamente dal carcere ottocentesco di San Sebastiano di Sassari) arricchito da musicisti di risalto, tra cui svettano nomi noti come i Bertas, il Black Soul Gospel Choir di Cagliari, il tenore Matteo Desole, e un’orchestra di quindici elementi diretta dal maestro Stefano Garau.
L’imponente location scelta fa da sfondo anche al videoclip della seconda traccia dell’album “La ricerca del tempo perduto” rilasciato a metà marzo, che, come il romanzo omonimo di Proust, indaga su che ruolo abbiano i ricordi nell’esistenza umana e che cosa inarrestabilmente li riporti a galla. Il video mostra il gruppo schierato nei sotterranei bui (della memoria?) mentre un personaggio onirico balla nella grande sala a cupola al centro della pianta panottica della struttura offrendo in punta di piedi interessanti interpretazioni, esaltate visivamente da encomiabili “intuizioni cromatiche” (per dirlo con le parole di Ignazio Chessa, attore algherese protagonista delle scene) figlie dell’ottima impronta artistica visuale del collettivo Radiosegnali, curatore anche del live. Non disperi chi ha perso la diretta: lo spettacolo è disponibile sulla pagina Facebook @TazendaUfficiale (trovate il video anche qua sotto) su cui si può godere anche dell’intervista in pillole moderata dall’eccezionale Paolo Fresu, in cui i quattro chiacchierano rilassati ripercorrendo le tappe di una carriera trentennale costellata di successi, fino ad arrivare a parlare di Antìstasis e di cosa significhi oggi, in questo periodo storico, la parola “Resistenza”.
Davanti a una tisana, Gino Marielli (autore della maggior parte dei brani) l’ha spiegato anche noi: «La novità rispetto agli album del passato è che in Antìstasis si parla di relazioni umane, sentimentali, di vittorie e di sconfitte, di amore che scende sulla terra a farci sanguinare, ma con la fortuna di poter essere visto sempre anche dall’alto: per esempio in “Oro e Cristallo”, dove all’inizio si racconta la sofferenza, dopo l’inciso si capisce che si può uscirne ed arrivare a non soffrirne più» dice, citando la decima traccia dell’album dove parole e musica trovano un equilibrio compositivo quasi perfetto.
Il lavoro è adulto e eterogeneo, il cui ascolto è capace di sedurre a più livelli: se per i Tazenda il ruolo comunicativo più importante viene affidato alla musica (e alla voce, anch’essa strumento musicale), è vero anche che la scelta dei testi non è mai casuale, tanto da includere nuovamente una collaborazione col leggendario Mogol (per il brano “Dolore dolcissimo”) o donarci “Innos”, rimarcando come il cambio di sonorità non vada inteso come un cambio della propria natura: Chentu oghes faghent coro / Ca sa musica est sa nostra indipendentzia / Cun sa manu in su coro / Cantamus in limba s’innu de sa nostra terra / S’innu ‘e Sardigna.
Un cambio di sonorità, il loro, che si palesa nella massima espressione col brano “A nos bier”, costruzione ritmata che solletica i padiglioni in pieno stampo electro ethno music in cui Marielli si diverte con l’hang drum (neonato strumento metallico percussivo che produce sonorità quasi extraterrestri) mentre un tappeto di voci e strumenti elettronici si insinua nella mente di chi ascolta ancorandovi saldamente le ipnotiche strofe. Non sorprendetevi dunque se dopo l’ascolto vi ritroverete a cantare River / So long river / River / Come in my soul: noi lo stiamo ancora facendo. Enjoy the music!