Esistono suoni ancestrali che trovano la loro origine direttamente nel mondo naturale, in quei materiali che proprio la natura è in grado di offrire e con i quali vengono poi costruiti gli strumenti musicali della tradizione.
Melodie senza tempo che, con la loro unicità, hanno pervaso nei secoli anche la Sardegna, divenendo protagoniste di eventi religiosi e sagre che allietano l’Isola in tutti i periodi dell’anno, dalla Festa di Sant’Efisio a Cagliari fino alla Cavalcata sarda di Sassari.
Queste sinfonie affascinanti provengono dal più antico e tipico strumento musicale sardo: le launeddas. Si tratta di uno strumento musicale a fiato, dunque di un aerofono, in cui la produzione del suono avviene, appunto, attraverso l’aria.
Le launeddas sono composte da tre tubi, di diversa lunghezza e larghezza, ricavati da delle canne. La prima è chiamata “su tumbu” ed è la canna più lunga, senza fori, in grado di emettere una sola nota continua. La seconda è invece denominata “sa mancosa manna”, è composta da quattro fori diteggiabili, più uno libero nella parte finale, ed è capace di produrre la melodia di accompagnamento. Su tumbu e sa mancosa manna sono legati tra loro con uno spago, tanto da essere chiamati, insieme,“sa croba”. La terza e ultima canna è invece “sa mancosedda”, che risulta separata dalle altre due e utilizzata con la mano destra. Composta anch’essa da quattro fori per la diteggiatura delle note, più un quinto foro libero, riveste l’importante funzione di essere l’artefice dei suoni dell’intera melodia.
Nell’estremità finale di ciascuna di queste tre canne è presente “su cabitzinu” (o launedda), una canna più sottile tagliata alla base e contenente l’elemento più importante di questo strumento, l’ancia, ossia una lamella, detta “su linguatzu”, che consente di produrre i suoni. Le melodie prodotte dalle launeddas, inoltre, possono variare accorciando la lunghezza delle canne o chiudendo più o meno i fori attraverso l’inserimento di piccole quantità di cera d’api, in modo da accordare così lo strumento.
Il suono che si ottiene si caratterizza per essere continuo e senza interruzioni, particolarità che richiede da parte del musicista tantissimo studio e la conoscenza della tecnica della respirazione circolare (chiamata anche “a fiato continuo”), molto complessa e prevista per l’utilizzo di pochi strumenti etnici nel mondo, non essendo necessaria neanche per altri strumenti a fiato quali la tromba o il flauto. Si tratta infatti di un metodo che consente di continuare a suonare lo strumento senza dover interrompere il flusso d’aria per prendere fiato, grazie all’abilità di usare la bocca come deposito d’aria.
Le origini delle launeddas si perdono nel tempo, si parla, infatti, di uno degli strumenti più antichi di tutta l’area del Mediterraneo. Secondo l’orientamento prevalente deriverebbe dagli aerofoni costruiti, con gli stessi materiali, dalle antiche civiltà dell’Egitto e della Mesopotamia.
La presenza di uno strumento molto simile è attestata anche in Grecia, a partire dal 700 a. C., dove appare raffigurato in numerose scene in cui si notano dei suonatori intenti ad utilizzarlo in occasione di feste ed eventi. Uno dei protagonisti della mitologia greca è infatti la“siringa”, chiamata anche flauto di Pan, dal nome del dio greco, metà capra e metà umano, che lo creò. Il mito narra che Pan si invaghì di una ninfa bellissima di nome Siringa ma questa, spaventata dal suo aspetto, per sfuggirgli si rifugiò in un campo di canne lungo le rive di un fiume, trasformandosi poi in una di esse. Queste canne, grazie al soffiare del vento, emettevano una particolare melodia che fu udita da Pan il quale, per consolarsi, decise di costruire uno strumento musicale tagliando alcune di esse e legandole assieme con una corda. Questo flauto, a cui il dio greco diede proprio il nome della ninfa, si diffuse poi in varie parti del mondo.
Ma al di là della leggenda, l’invenzione di questo strumento potrebbe essere molto più antica e risalire addirittura all’epoca preistorica. InSardegna, infatti, è da collocare in un arco temporale compreso tra il Neolitico e l’età del Bronzo, come testimonia un bronzetto itifallico ritrovato nel paese di Ittiri e attualmente esposto presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, che rappresenta un musicista intento a suonare uno strumento a tre canne praticamente identico alle launeddas.
In ogni caso, almeno dal Seicento, le launeddas rappresentano un patrimonio storico e culturale di molti paesi del Sud Sardegna – tra cui San Vito, Villaputzu e Cabras -, e della Trexenta, in particolare di Barumini, considerato il paese simbolo di questo strumento. Nella piazza principale del comune, Piazza San Francesco, presso il Polo Museale “Casa Zapata”, si trova, infatti, il Museo Regionale delle Launeddas. La rassegna, composta da diversi pannelli didattici e teche espositive, è stata allestita grazie al contribuito del maestro Luigi Lai, considerato uno dei più importanti costruttori, suonatori e divulgatori di tutti i tempi di questo antico tesoro musicale della tradizione sarda.