“Ci vieni a pranzo?”
Si fa pace così, tra amici. Anche se la pistola non l’ho portata, perché doveva portarla lui.
Facciamo cose da grandi anche se ancora grandi non siamo, perché lavoro non ce n’è e diventare adulti è impossibile se non hai soldi e stabilità; che poi non ce l’abbiamo nemmeno dentro, la stabilità… ma magari stavolta ci va bene, e svoltiamo di brutto.
Potrebbero essere questi i pensieri dei due protagonisti del cortometraggio “Un piano perfetto” del sassarese Roberto Achenza, appena premiato al Festival Visioni Sarde promosso dalla Fondazione Cineteca di Bologna nel contesto della 27ª edizione del Festival Visioni Italiane (dividendo il primo posto con “L’uomo del mercato” della cagliaritana Paola Cireddu).
Efisio e Brunetto (Stefano Deffenu e Andrea Carboni) sono “due amici, due disperati, che nel tentativo di migliorare la loro situazione economica si fingono quello che non sono, cioè due ladri, e tentano una rapina in un bar. Ma non tutto va come dovrebbe andare.” spiega il regista.
Tradizionalmente affine a linguaggi cupi o sperimentali, e conosciuto per la regia di videoclip musicali (showreel, Tazenda), in “Un piano perfetto” Roberto Achenza ci sorprende con un buddy movie inaspettato, dove sfoggia un ottimo montaggio in linea con le pellicole di genere care ai cinefili senza mai scopiazzarle o strizzare l’occhio, riportando alla mente gustosi spizzichi de I Soliti Ignoti di Monicelli o di Ocean’s Eleven di Soderbergh, e facendoci percepire costantemente un alone grottesco da trilogia del cornetto di quel genio di Edgar Wright. Achenza si ispira ai grandi, respira arte e non incespica ed anzi, fluidamente utilizza la sua conoscenza per regalarci un corto ben riuscito che lascia quel prezioso appetito del voler conoscere meglio i due amici ed essere testimoni delle loro vite. Oltre ai due attori (già visti insieme in Perfidia di Bonifacio Angius) il cast si arricchisce della convincente Denise Gueye, di Paolo Salaris e Monica Anelli (entrambi della compagnia teatrale Paco Mustèla), oltre che di tecnici professionisti ben noti nel settore e dell’egida della più che valida “sardo-colombiana” BurnOut Films (Paolo Pisanu, Sara Arango), casa di produzione che ha fornito un importante apporto professionale e di strumentazione, prezioso per la realizzazione del corto.
Abbiamo raggiunto Roberto Achenza per parlare di questo bel risultato.
Ciao Roberto, come nasce “Un piano perfetto”?
Il corto nasce 10 anni fa quando mio fratello Emiliano mi propose una sua sceneggiatura ispirata a un articolo su dei rapinatori scacciati dagli esercenti rapinati. Negli anni ci sono stati vari tentativi ma è nel 2018 che si è iniziato a lavorare seriamente al corto, quando Emiliano ha deciso di investire un piccolo budget; lavorando su parecchi set ho conosciuto varie personalità, tra cui Stefano e Andrea, che essendo amici anche nella vita potevano sicuramente vivere la loro intesa anche davanti all’obbiettivo: per me era fondamentale che fossero affiatati, che avessero un’alchimia a cui potessero attingere per improvvisare.
La trama è stata un ottimo pretesto, mi interessava raccontare un’amicizia tra due personaggi che vivono ai margini e distaccarmi dal drammatico che ha sempre contraddistinto le mie produzioni: questa è stata la sfida intrigante, lavorare su altri registri più leggeri, dato anche il fatto che internamente non lo sono molto (ride).
Dagli Anni ‘60 la Cineteca di Bologna promuove il recupero del patrimonio cinematografico intessendo un dialogo col presente, e per questo fine ha creato una cittadella dell’audiovisivo con archivi, biblioteche, mostre, laboratori, sale cinematografiche e uffici. Com’è stato ricevere il loro premio?
È stata un’esperienza bellissima, perché la sala della Cineteca è uno dei templi del cinema italiano: vedere il proprio lavoro proiettato in una sala simile è un’esperienza per cui non si trovano parole. Per me sarebbe stato già un buon risultato fare proiezioni dopo questo periodo di rassegne on line, ma farla lì, dove tutto tecnicamente torna a quello che avevi in mente quando stavi facendo il tuo “montaggino” a casa, vedere per la prima volta il corto esattamente come lo avevi immaginato, con una qualità audio-video altissima… È stato qualcosa di magico. La mattina dopo, come d’altronde già dalla sera stessa, ero intontito, è stato come vivere (in) un sogno. Ripeto, la paura principale era quella di vedere il corto relegato ai festival on line, senza vita, senza riscontro del pubblico. Anche se quando mostri una tua opera al pubblico senti il timore del passo falso, la paura che non piaccia. Per ora il corto sta piacendo, ma ricevere delle critiche può essere utile: qualsiasi autore conosce i limiti della propria opera, certo, ma è possibile che qualcuno veda cose che io non vedo, soprattutto perché entrano in gioco il gusto personale e quello professionale.
Com’è lo sguardo di un regista?
Io ho sempre visto il cinema in generale come quando si sogna, che ti senti tra lo spettatore e il protagonista; una sensazione di immersione come quando inizi a prender sonno e iniziano immagini che chissà da dove arrivano: lo schermo è la stessa sensazione, parti dal buio e all’improvviso c’è questa luce che ti porta in un mondo che devi scoprire, che devi decifrare, come appunto un sogno. Poi alcune opere si trasformano in un incubo e… (ride) insomma ho sempre visto il cinema molto legato al sogno. Poi nel corso degli anni ti avvicini anche a un cinema più realista, come in questo caso. In questo corto c’è il tentativo di avvicinarmi alla realtà ma tentando di giocare e sperimentare altri registri.
Grazie Roberto! Dati i risultati (varie selezioni, e premi come miglior editing, miglior corto, miglior attore a Deffenu) speriamo allora di vedere presto il lungometraggio a cui stai lavorando.
E… Azione!