Le loro opere sono note in tutto il mondo grazie alla mostra itinerante Prendas contra s’ogu malu, che ha toccato città come Roma, Milano, Firenze, Il Cairo, Ginevra e New York, ottenendo un grande apprezzamento. I loro gioielli e gli amuleti tradizionali si trovano permanentemente in 4 musei, e i loro rosari sono esposti nelle sale Vaticane. Hanno creato opere per il Santo Papa Giovanni Paolo II e per Benedetto XVI, per i presidenti della Repubblica Cossiga, Scalfaro e Ciampi e per altre importanti personalità della cultura e dello spettacolo. Stiamo parlando del laboratorio orafo di Giovanni Rocca che, da sei generazioni realizza i veri gioielli della cultura sarda, valorizzandone la tradizione. Abbiamo chiesto a Pierluigi, figlio di Nanni, di raccontarci la storia di questa longeva attività.
Pierluigi ci racconta che tutto nasce nella seconda metà del 1800 a Gavoi, quando Efisio Rocca dà inizio ad un’attività che si sarebbe tramandata sino ad oggi, di padre in figlio, per circa due secoli. Col passare del tempo, i Rocca si perfezionano nell’arte della filigrana, e inventano nuovi strumenti di lavoro.
La storia recente vede Nanni Rocca, trasferitosi a Oristano nei primi anni Settanta, riuscire ad ottenere riscontro a livello internazionale. Nanni forma e manda a studiare Oreficeria Moderna ed Oreficeria Antica suo figlio Pierluigi, la sesta generazione orafa della famiglia. Pierluigi, diventato Maestro di Oreficeria Etrusca e ricercatore storico, valorizza la ricerca e lo studio dei gioielli del territorio oristanese: sia quelli di Tharros che quelli del Giudicato d’Arborea.
Nanni e Pierluigi continuano a produrre i loro gioielli con le tecniche tradizionali. Sono cambiate solo le fonti di alimentazione per le fiamme e per le fusioni. Inoltre esistono ancora le antiche attrezzature orafe dei Rocca, risalenti al 1800, come ad esempio una macchina da cucire Singer a pedali, adattata a tornio multifunzionale dal bisnonno di Pierluigi, che aveva conoscenze meccaniche e inventava macchinari per agevolare e migliorare la qualità della produzione dei gioielli in filigrana. Questi gioielli, però, non nascono solamente dall’abilità dell’artigiano. Tutto comincia con la ricerca attraverso libri, visite ai musei, parlando con gli anziani o riesaminando i gioielli antichi della famiglia Rocca. In seguito si affronta la fase di progettazione con vari schizzi e disegni preparatori molto realistici, sia per le misure che per i dettagli delle lavorazioni.
Il lavoro dei Rocca non ha solo un valore artistico ma anche culturale. Grazie alla loro produzione e alla loro minuziosa ricerca storica, col tempo, sono riusciti a riprodurre quasi tutte le tipologie di gioielli esistenti e a raccoglierli nella loro collezione. Così è possibile conoscere e tramandare quasi tutte le tradizioni ed i significati legati ai numerosissimi gioielli della cultura sarda.
Pierluigi ci racconta che la mancanza di miniere di pietre preziose, e la fantasia dei committenti sempre più superstiziosi, ha reso gli argentieri sardi capaci di incastonare qualsiasi cosa: dai vetri colorati ricavati da lampadari rotti, a conchiglie, a zanne e denti di animali, a teche e sacchetti contenenti preghiere ed ingredienti magici, a grani di rosari di giavazzo portati dalla Terra Santa che diventano il famoso Kokko. Il bottone sardo rappresenta il seno materno, in una società agropastorale dove i figli significano forza lavoro, si vuole scongiurare l’alta mortalità infantile e augurare fertilità. Il problema dell’arte orafa sarda arriva negli anni delle due guerre mondiali, dove la stragrande maggioranza dei gioielli viene donata alla patria o requisita e fusa per finanziare armamenti e rifornimenti per gli eserciti, o semplicemente venduta per far fronte alla povertà. Fortunatamente, le chiese e i musei sardi sono ricchi di gioielli antichi, e molti scritti ne danno testimonianza descrivendo le donne sarde stracolme di gioielli.
All’inizio di questo articolo abbiamo citato la mostra itinerante Prendas contra s’ogu malu. Pierluigi ci racconta che si tratta di una collezione di oltre 200 gioielli, realizzati interamente a mano, in argento, e con i materiali che venivano utilizzati tradizionalmente. Ciascuno di questi gioielli è opportunamente documentato sia sotto il profilo storico, sia sotto il profilo dell’uso a cui era destinato, offrendo con ciò uno spaccato reale delle tradizioni e delle antiche simbologie sarde. Ogni bacheca contiene, infatti, degli amuleti divisi per tipologia con didascalie che ne spiegano il significato apotropaico. All’interno dell’esposizione si possono ammirare anche le antiche attrezzature orafe della famiglia Rocca, risalenti alla fine del 1800, e ancora funzionanti.
La scelta della famiglia Rocca è ben precisa: usare la tecnologia per far conoscere le arti antiche, non per sostituirle. Fotografano e filmano tutte le fasi di lavorazione, realizzando fotolibri e video per mostrare quanto lavoro c’è dietro ad ogni singola opera. Il loro canale di YouTube, @roccaprendas ha ottenuto oltre 36.000 visualizzazioni. Un successo prevedibile quello che i gioielli Rocca hanno anche sugli shop online come Amazon o Sardinia eCommerce, perché da sempre negli scritti si legge dell’ammirazione dei viaggiatori rispetto alla gioielleria sarda: dagli ori di Tharros, alle filigrane degli abiti tradizionali, agli ornamenti sacri. Gli studiosi e viaggiatori li descrivevano nei particolari studiandone il significato iconografico.
In attesa di vedere il documentario che li riguarda, e che andrà in onda su Rai3 in primavera all’interno di Geo & Geo, ringraziamo Pierluigi e Nanni per la disponibilità e vi ricordiamo che potete reperire ulteriori informazioni su roccaprendas.it.