Negli ultimi anni la “cancel culture” è stata al centro di accese discussioni nel mondo anglosassone e da qualche tempo è entrata anche del dibattito pubblico italiano, accavallandosi spesso al concetto del “politicamente corretto”. Ma di cosa si tratta?
L’espressione “cancel culture” è traducibile con “cultura della cancellazione” o “cultura del boicottaggio”. Andando oltre la traduzione letterale, possiamo affermare che è usata per indicare una forma modernissima di ostracismo nella quale qualcuno diventa oggetto di proteste e di conseguenza viene escluso da ambienti sociali o professionali. Più precisamente, è una tendenza ad eliminare e cancellare dalla produzione culturale persone, aziende, opere artistiche che sono considerate colpevoli di aver sostenuto (anche in passato) valori e ideali contrari alla parità di genere, ai diritti delle minoranze, all’uguaglianza e, in generale, al “politicamente corretto”. Quest’ultimo è un concetto di cui si sente sempre più spesso parlare e che indica un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale si evita ogni possibile offesa verso determinate categorie di persone.
Il fenomeno della cultura della cancellazione è nato e si è sviluppato tra la fine del 2010 e l’inizio del 2020. È stato motore di molti movimenti a favore dei diritti civili come il #MeToo, che iniziò nel 2017 dopo le accuse di violenza sessuale contro il produttore cinematografico Harvey Weinstein, ma anche il Black Lives Matter, che dopo la morte per soffocamento di George Floyd nel 2020, ha cercato di mettere in evidenza le disuguaglianze e le discriminazioni, denunciando l’uccisione degli afroamericani da parte della polizia. Proprio in seguito alla morte di George Floyd, gli episodi attribuibili alla “cancel culture” si sono moltiplicati.
I comportamenti di ostracismo possono essere esercitati sia sui social network, che sui giornali, in televisione oppure nel mondo reale, attraverso alcuni gesti a volte non legali, come l’imbrattare o distruggere monumenti storici. In Italia, infatti, la cultura della cancellazione è arrivata come un termine ombrello che comprende anche l’iconoclastia, le polemiche sul cinema per bambini e la censura degli editori. E i soggetti colpiti, di conseguenza, possono essere personaggi pubblici o storici, star, ma anche opere letterarie, cinematografiche, marchi o aziende.
Sono tante le figure che hanno subito la parziale o totale perdita di appoggio da parte dell’opinione pubblica a causa di dichiarazioni o comportamenti razzisti, sessisti, omofobi e così via. A venir colpite da questo fenomeno ci sono anche le statue di personaggi noti della storia. Un esempio è la proposta di rimozione a Milano della statua raffigurante Indro Montanelli, il giornalista che fece di una bambina eritrea la sua compagna. Nel mirino sono finiti anche l’obelisco “Mussolini Dux” a Roma e la statua di Gabriele D’Annunzio a Trieste. Persino a Cagliari sono nate diverse proteste per la rimozione dalla centralissima piazza Yenne del monumento dedicato a Carlo Felice, re sabaudo autore di una crudele repressione dei rivoluzionari sardi.
Non solo statue e monumenti, a subire la “cancel culture” sono stati negli ultimi anni anche alcuni classici del cinema e della Disney. Tra questi c’è “Via col vento”, che era stato cancellato dal catalogo HBO a causa di alcune contestazioni razziste, “Biancaneve e i sette nani”, criticato per il bacio non consenziente dato dal principe alla ragazza incosciente, e “Gli Aristogatti”, in cui il personaggio di Shun Gon è raffigurato, secondo i sostenitori della cultura della cancellazione, con tratti asiatici stereotipati e rappresenta una caricatura offensiva del popolo asiatico. Queste pellicole per bambini sono state messe sotto censura per i minori di sette anni perché veicolerebbero messaggi dannosi, offensivi e luoghi comuni ormai superati.
La cultura della cancellazione è stata esercitata anche nei confronti di chi ha commesso molestie sessuali. Tra gli esempi più conosciuti c’è quello che riguarda Woody Allen. Negli anni Novanta il regista venne accusato dalla ex moglie di aver violentato la figlia adottiva. Nonostante le indagini non abbiano mai condotto a prove certe, negli ultimi anni le campagne contro Allen hanno spinto Amazon ad annullare un accordo di distribuzione dei suoi film e la casa editrice Hachette non ha pubblicato la sua autobiografia negli Stati Uniti.
Altro campo in cui il dibattito si è particolarmente acceso è quello accademico. Ad esempio, negli USA si sono verificati diversi casi di docenti universitari licenziati perché avevano detto qualcosa che i loro studenti avevano giudicato inopportuno e discriminatorio, come opinioni razziste o transfobiche. Le critiche nei confronti di questo fenomeno provengono sia da destra che da sinistra. I critici più accaniti sostengono che la “cancel culture” non faccia bene al dibattito pubblico perché vengono usati strumenti discriminatori, mediante la censura, nei confronti di chi non condivide le stesse opinioni. Chi esercita la cultura della cancellazione sarebbe quindi colpevole di limitare la libertà di espressione di altri individui. Al contrario, chi ne difende l’utilizzo sostiene che la “cancellazione” è un mezzo per combattere le diseguaglianze e discriminazioni in tutte le sue forme.