Il culto dell’acqua in Sardegna e l’orientamento dei pozzi sacri nascondono una storia ancora da scrivere. Nuove interessanti prospettive sul tema sono emerse dal XII convegno internazionale di Archeoastronomia in Sardegna “La misura del tempo”, organizzato a Sassari dalla SAT – Società Astronomica Turritana e dal Circolo culturale Aristeo e ospitato sabato 16 dicembre nella sala conferenze della Fondazione di Sardegna.
L’evento, realizzato col patrocinio e il sostegno della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna, il patrocinio del Comune di Sassari e dell’Università turritana, ha raccolto esperti, archeologi, antropologi, architetti che hanno condotto un lungo viaggio dall’Isola alla Campania, dall’Egitto alla Croazia e alla Grecia, alla ricerca dei legami tra gli antichi edifici e il disegno della volta celeste.
Di grande prospettiva è uno studio in corso proprio in Sardegna, come ha spiegato Michele Forteleoni della SAT insieme a Simonetta Castia del Circolo Aristeo: l’orientamento del pozzo sacro di Irru, nei pressi di Nulvi, sembra legato al ciclo solare così come quello di Predio Canopoli a Perfugas che presenta, inoltre, una conformazione per cui il sole tramonta per circa 120 giorni illuminando la sommità della scala di accesso.
L’affascinante ipotesi suggerisce che gli antichi sardi seguissero, quindi, un canone predeterminato di costruzione dei loro pozzi sacri, già riscontrato in studi che prendono in esame diversi templi. La correlazione tra orientamento degli edifici e schemi celesti, in particolare rispetto alle stelle inerranti, è stata riscontrata in particolare nei monumenti dei siti di S’arcu ‘e is forros a Villagrande Strisaili, Serra Orrios a Dorgali, Paule s’Ittiri a Torralba, Oes a Giave: qual era il motivo di costruire i templi secondo una direzione ben precisa? E quali erano le stelle di riferimento dei nuragici? Tutte le ipotesi vanno vagliate e studiate, è stato detto, senza la pretesa di fornire certezze ma per aumentare la conoscenza di una cultura che conosciamo ancora molto poco.
Quello che è certo, come ha rilevato nel suo intervento l’architetto Serena Noemi Cappai, è che i pozzi sacri sono monumenti i cui costruttori hanno saputo coniugare ordine, eleganza matematica, equilibrio. Gli edifici di mille anni prima di Cristo, ha spiegato, denotano una profonda comprensione e un sapiente utilizzo dei sistemi costruttivi di grande armonia, strutture di altissimo design.
Se il passato è ancora da indagare, il futuro del nostro ecosistema rischia di essere una pericolosa certezza, come ha spiegato Simonetta Bagella dell’Università di Sassari. Riprendendo un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista British Ecological Society, la docente ha spiegato come dalla mappatura di oltre cinquemila nuraghi si noti che i sardi si insediavano in luoghi favorevoli, con particolare presenza di boschi di sughera e roverella che venivano sapientemente sfruttati, insieme alle altre risorse naturali, nel rispetto dell’ambiente.
Il nostro paesaggio, però, potrebbe cambiare presto: da un lato sempre meno persone vivono di pastorizia e si tende a sfruttare il suolo in maniera intensiva, impedendo la rigenerazione delle piante, dall’altro si abbandonano intere aree che la natura si riprenderà, cancellando il panorama culturale e sociale tipico della Sardegna.
Moderato la mattina dal giornalista Pier Giorgio Pinna e nel pomeriggio da Elio Antonello dell’Osservatorio economico di Brera, il convegno è stato aperto proprio da Antonello che è intervenuto sui “parapegma”, i calendari della Grecia classica, uno diverso per ogni regione, basati sui dati stellari. Andando ancora più indietro nel tempo, è suggestivo scoprire che uno dei manufatti più celebri del pianeta, la Sfinge – ha detto Paolo Colona dell’Accademia delle stelle di Roma – sia stata costruita esattamente lungo il trentesimo parallelo, a distanza di un terzo dall’equatore e a due terzi dai poli, come se gli antichi egizi avessero profonde conoscenze astronomiche e architettoniche.