Vite allo specchio ne “L’Attesa” di Remo Binosi nell’interpretazione di Anna Foglietta e Paola Minaccioni per la regia di Michela Cescon (produzione del Teatro di Dioniso e del Teatro Stabile del Veneto) in cartellone – in prima regionale – martedì 5 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Sassari e da mercoledì 6 fino a domenica 10 aprile al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20:30 e la domenica alle 19) sotto le insegne della Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna, dei Comuni di Cagliari e Sassari e con il contributo della Fondazione di Sardegna.
La pièce – già vincitrice del Biglietto d’oro Agis come migliore novità italiana nel 1994 nella fortunata mise en scène firmata da Cristina Pezzoli, con Maddalena Crippa e Elisabetta Pozzi che si alternavano nei ruoli delle protagoniste – racconta la strana condizione di “clausura” imposta a due donne, l’aristocratica Cornelia e la popolana Rosa, entrambe vittime del fascino di un pericoloso seduttore come Giacomo Casanova, per tutta la durata della gravidanza, onde nascondere il loro scandaloso stato agli occhi del mondo. Nasce tra le due creature, diverse per educazione e temperamento, ma accomunate dall’imminente maternità e dall’obbligo della segretezza, a dispetto della differenza di classe e del rapporto di potere tra padrona e serva, una sorta di momentanea solidarietà, quasi una sorellanza, che non elimina le barriere ma a tratti insegna a superarle, di fronte al dolore del parto ma anche all’analogia paradossale della loro condizione, che imprime il marchio infamante del peccato spingendole a rinnegare un atto d’amore e di libertà.
Sull’intero genere femminile grava la condanna morale della società e il giudizio dei custodi della (altrui) virtù, portare in seno il frutto della “colpa” ovvero di una relazione illegittima è il segno disonorevole della lussuria, perfino nel “secolo dei lumi” e nella Venezia del celebre avventuriero e poeta, filosofo libertino e spia, il cui destino si intreccia a quello delle due eroine di una storia apparentemente surreale ma di sorprendente modernità, per le questioni trattate oltre che per la struttura drammaturgica, che insinua il tema inquietante del “doppio” nel dilemma tra eros e thanatos.
“L’Attesa” in un raffinato e evocativo allestimento con scenografia di Dario Gessati e costumi di Giovanna Buzzi, disegno luci di Pasquale Mari e suono di Piergiorgio De Luca (assistente alla regia Elvira Berarducci – foto Fabio Lovino) mette a confronto due emblematiche figure che incarnano la ricchezza e il privilegio e privazione e la sottomissione, ma la diversità di ambiente e di censo non impedisce che nei corpi di entrambe si verifichino le stesse metamorfosi, dettate dalla natura, così come impulsi non dissimili, sulla spinta del desiderio e del piacere, le abbiano indotte a correre il gravissimo rischio di mettere a repentaglio la loro stessa esistenza per godere di un amplesso, concedersi un istante d’estasi.
«I personaggi sono empatici, emozionanti, veri e si prova per Rosa e Cornelia grande simpatia: soffri con loro, le ami con dolcezza, le adori, partecipi prima con una, poi con un’altra, poi con tutte e due… e alla fine non ti sorprendi di pensare che forse potrebbero essere la stessa persona» – sottolinea la regista Michela Cescon –. «“L’Attesa” è proprio un testo per il palcoscenico, per gli attori, pieno d’invenzioni molto riuscite. Tutto è raccontato con freschezza e con un erotismo naturale nei confronti della vita e del mondo. Alle due attrici viene richiesta un’adesione fisica ai personaggi totale, e il loro stare in scena diventa molto sensuale, non per un finto gioco di seduzione, ma per la loro immersione nel racconto; un racconto sui corpi femminili, sulla punizione per il desiderio, la punizione di essere donne, sulla maternità, sull’amicizia, sull’amore, sul piacere, sulla lealtà, sulle differenze di classe… due voci femminili che diventano un gran bel punto di vista, per portare in scena il nostro sguardo più personale ed intimo».
Nell’esperienza del lockdown e del cosiddetto “distanziamento sociale” la situazione descritta nella pièce appare improvvisamente ancora più comprensibile, come parte di una narrazione collettiva, anche se proiettata in un’altra epoca e con motivazioni differenti. «I temi affrontati sono universali e, pur essendo ambientato in Veneto nel ‘700, sentiamo la loro storia molto vicina» – afferma Michela Cescon. «Il dramma è costruito attorno a due donne che vengono allontanate e rinchiuse per nove mesi per nascondere entrambe una gravidanza. Si racconta una clausura, un’impossibilità ad uscire e mai, come in questi tempi, l’idea teatrale, anche semplice, di chiudere due personaggi all’interno di una stanza diventa vera, reale e sentita. Insieme ai miei collaboratori abbiamo costruito un luogo scenico che rappresenta la mente di Cornelia, il diario su cui lei scrive, dove la chiusura o l’apertura dei muri è metafora di una condizione interna, della vita del cuore; mentre la relazione con l’esterno viene raccontata dalla luce e dal buio, dalle ore del giorno e dai suoni della campagna estiva, e dalla natura prepotente che le circonda».
Una mise en scène essenziale, claustrofobica come la situazione narrata, con le due interpreti sempre presenti sulla scena, come le protagoniste costrette a condividere uno spazio ristretto, invisibili al mondo esterno, imprigionate in una sorta di simbolica “punizione” per una trasgressione imperdonabile, secondo i ferrei principi stabiliti dall’etica e dalla religione. «Alle attrici viene chiesto di non uscire mai, di avere a che fare solo con il loro corpo»: intorno a loro «un letto, due sedie e gli abiti dai colori forti e simbolici che con loro danzano una partitura serrata di cambi e di trasformazioni. Una dimensione quasi astratta e nel contempo molto concreta, realistica, nell’incontro-scontro “fisico” tra due creature diversissime, con i loro pensieri e stati d’animo, le loro emozioni, i loro dubbi, i loro turbamenti, tra paure e speranze, amarezza e disincanto».
«Lo spettacolo ha un sapore nordico, un rigore fatto di direzioni, ritmo e spazio, per riuscire a riportare ciò che sentii dopo la prima lettura della prima stesura de “L’Attesa”» – rivela Michela Cescon -, «ovvero il ritrovare drammaturgicamente nel testo tutto ciò che c’è di materico e forte nel teatro veneto, nella mia lingua originaria, specialmente quello goldoniano, sapientemente mescolato ad autori amatissimi come Bergman, Ibsen, Strindberg e anche Genet».
Un gineceo nell’età illuminista, un luogo e un tempo sospesi, dove si rinnova il mistero naturale eppure sempre avvincente della nascita, in una situazione estrema, complicata, perfino angosciosa, in cui due donne estranee e quasi “rivali” trovano tra loro una inattesa, temporanea armonia, in quell’atmosfera vibrante di aspettative e timore, in cui si riafferma il potere della vita.
Incontro con le artiste per I Pomeriggi della Fondazione / Oltre la Scena: gli attori raccontano giovedì 7 aprile alle 17:30 alla Fondazione di Sardegna in via San Salvatore da Horta n.2 a Cagliari nell’ambito di Legger_ezza 2022 / Promozione della Lettura a cura del CeDAC Sardegna – coordina il giornalista Michele Pipia: una conversazione informale sull’attualità e sulle diverse questioni messe in luce dallo spettacolo, oltre che sull’arte della recitazione e sul rapporto fra teatro e società. (ingresso gratuito – fino a esaurimento posti).