In origine era una pagina Facebook contenente aneddoti scritti in prima persona, prevalentemente femminili, il cui tema principale era il fallimento relazionale. Il libro “Vabbè. Mi sono fatta di peggio”, pubblicato da Prospero editore nel 2020, è una raccolta curata da Laura Scaini e Giulia Nardo. Le due, entrambe studentesse a Bologna, si conoscono a un corso di teatro e capiscono subito di avere molto in comune. Specie le sfighe sentimentali. Decidono di condividerle pubblicandole su Facebook, in modo da sdrammatizzare e ridimensionare alcune vicende. Alle loro testimonianze si aggiungono quelle dei seguaci della pagina, oggi arrivati ad oltre 40.000. Il successo ottenuto sui social si trasforma in una pubblicazione che racchiude storie esilaranti. Attraverso l’autoironia dissacrante si affrontano temi delicati e tabù.
La presentazione del libro è avvenuta nei locali di Careddu Parrucchieri, a Calangianus. Un luogo simbolo scelto appositamente per sfatare il vecchio luogo comune che vede i parrucchieri covi di pettegolezzi, oggi invece diventati ambienti stilosi e ricercati. A chiacchierare con una delle autrici, Laura Scaini, è il direttore artistico di Bookolica, Fulvio Accogli.
Abbiamo chiesto a Laura Scaini di rispondere a qualche domanda su “Vabbè. Mi sono fatta di peggio”.
Ciao Laura, qual è l’idea iniziale del progetto?
Il progetto nasce davanti a un bicchiere di vino, insieme alla mia coinquilina dell’epoca, Giulia Nardo. L’intento era di poter sdrammatizzare in maniera simpatica e leggera delle disavventure relative al piano sentimentale e sessuale. L’idea di base era quella di non prendersi troppo sul serio.
Leggendo le storie pubblicate sulla pagina, e riportate sul libro, viene da chiedersi: “Cosa ci può essere di peggio di ciò che ho appena letto?”
Di peggio ci può essere molto, ma noi raccontiamo soltanto ciò che può essere sdrammatizzato, solo quello su cui è possibile ridere sopra. Il peggio, probabilmente, non lo leggerete mai, perché non rispecchia questo intento, di conseguenza non è possibile pubblicarlo.
Qual è il tabù più difficile da scardinare?
Il tabù, soprattutto per le donne, è quello di poter raccontare la sessualità in maniera libera. Noto che, la maggior parte delle ragazze, ha necessità di giustificarsi quando racconta un’esperienza sessuale, specie quando è finita male. Partono sempre dalla premessa “uscivo da una storia di dieci anni con un tipo e quindi mi sentivo un po’ giù di morale”. Oppure: “era un periodo particolare della mia vita, avevo bisogno di leggerezza, per cui è successo questo e quest’altro…” Mi piacerebbe che, finalmente, ci si svincolasse da questo doversi giustificare, sempre e comunque, e ci si dicesse tranquillamente “avevamo voglia di scopare”. Gli uomini raccontano le proprie esperienze senza vergogna, invece le donne hanno ancora una sorta di pudore, come se l’avere voglia di scopare facesse loro delle persone con meno valore. Non è così, abbiamo tutti i nostri bisogni e sarebbe bello poterlo dire liberamente.
C’è qualcosa che hai letto e ritenuto molto triste, anche se inserita nel contesto ironico?
Per quanto riguarda i racconti, direi nulla. Nel desiderio di raccontarsi e di mettersi in gioco non c’è nulla di triste. Ciò che trovo tristi, a volte, sono i commenti delle persone che leggono queste storie e hanno necessità di puntare il dito. Del tipo: “Ah, ma c’erano tutti i campanelli d’allarme per capire che andasse male, quindi un po’ è colpa tua”. Come se la vittima, in qualche modo, fosse sempre da colpevolizzare. Questo porta a non considerare ciò che la persona ha fatto per far soffrire l’altro ma a dire “se tu hai sofferto, in qualche modo te la sei cercata”. Questo bisogno di giustificare, in qualsiasi contesto, anche in situazioni in cui si racconta una cosa leggera… ecco, questo lo trovo un po’ triste.