L’attesa è stata lunga, ma finalmente, dopo aver esordito la scorsa primavera negli Stati Uniti sulla piattaforma streaming AMC+, “That Dirty Black Bag”, la serie del regista sardo Mauro Aragoni, sarà disponibile in Italia a partire dal 25 gennaio nel catalogo della piattaforma streaming Paramount+; lo show, un’originale rivisitazione in chiave horror del genere spaghetti western, nasce dalla web serie omonima, che nel 2015 ha conquistato il Los Angeles Web Fest, aggiudicandosi 6 premi tra i quali Miglior serie drammatica e Miglior regia.
Il viaggio della “sporca sacca nera”, dunque, è stato lungo: la web serie girata in Sardegna, con un investimento di appena duemila euro, è stata prima adattata in un film, per poi trasformarsi in una serie ad alto budget prodotta dai BRON Studios (Canada) e da Palomar Production (Italia) e sbarcare sulla stessa piattaforma che negli USA ha proposto titoli quali “Breaking Bad” e “The Walking Dead”.
Le recensioni oltreoceano concordano nel promuovere a pieni voti lo show: sullo sfondo della cittadina di Greenvale, flagellata dalla siccità, si racconta un’epica e incalzante storia di vendetta ricca di colpi di scena, che ha come protagonisti il cacciatore di taglie Red Bill, noto per la cruenta firma che accompagna le sue “riscossioni” -le teste delle vittime vengono trasportate nella sacca nera che da il titolo alla serie-, interpretato da Douglas Booth (“Noah”, “Loving Vincent”), e lo sceriffo dall’oscuro passato Arthur McCoy, che ha il volto di Dominic Cooper (“Mamma mia”, “Agent Carter”); spiccano inoltre nel cast Travis Fimmel (“Vikings”) e Aidan Gillen (“Game of Thrones”). Pur omaggiando i canoni del western, la serie, girata tra Italia, Spagna e Marocco, è il frutto di un’affascinante contaminazione di generi, che attinge a un vasto immaginario e lo reinterpreta con un’estetica moderna.
Abbiamo rivolto a Mauro Aragoni, regista degli 8 episodi della serie insieme a Brian O’Malley, alcune domande sullo straordinario viaggio di questo show, iniziato in Sardegna oltre sette anni fa.
Da una web serie di successo, realizzata con un piccolissimo budget, a una grande produzione, “That Dirty Black Bag” ha esordito negli Stati Uniti su AMC+: puoi raccontarci le tappe fondamentali del percorso che dalla Sardegna ti ha portato a lavorare negli USA?
Sono state tante, ho iniziato come musicista, ma fin da piccolo volevo fare cinema, così ho iniziato a girare cortometraggi. Gli ultimi due sono andati molto bene, mi riferisco a “Quella sporca sacca nera” e “Nuraghes: S’Arena”*. Avevano un immaginario interessante. Così dopo le vittorie ai festival internazionali c’è stato l’interesse di grosse produzioni come Palomar e Bron Studios. Da lì abbiamo lavorato parecchio insieme a Marcello Izzo, Silvia Ebreul e Fabio Paladini alla stesura delle sceneggiature per “That Dirty Black Bag”. Diciamo che dopo 6 anni e 9 mesi di shooting il bambino è nato. Devo ringraziare produttori come Carlo Degli Esposti, Nicola Serra, Patrizia Massa e David Davoli per la realizzazione di questa incredibile produzione.
Come è stato confrontarsi con una macchina produttiva di questo livello e con un cast così importante?
Una sfida, una crescita artistica incredibile: lavorare con attori come Travis Fimmel, Aidan Gillen o Dominic Cooper era per me un onore, ma poi sono diventate anche amicizie, quindi, per quanto sia stato duro, il lavoro insieme è stato stimolante e creativo. Identica considerazione riguardo la troupe, ho lavorato con gli stessi che hanno fatto serie come “Vikings” e “Game of Thrones” e posso dire che è stato un onore lavorare per mesi con loro. Il team era incredibile, eravamo una famiglia.
La tua produzione finora ha reso omaggio in modo originale a due generi “popolari” amatissimi dal pubblico, il fantasy con “Nuraghes S’Arena” e il western con “Quella sporca sacca nera”: quali sono i tuoi punti di riferimento letterari e cinematografici?
Amo i libri di Stephen King, amo l’horror in generale e diciamo che mi influenza in tutto ciò che faccio, anche se è un western o un fantasy. Adoro il lato dark delle emozioni. Amo anche i manga e i fumetti. Mi ispiro molto a Berserk di Kentarō Miura o Kenshiro di Buronson e Tetsuo Hara. Mi piace parecchio mischiare i generi. Infatti, anche “That Dirty Black Bag” risulta un mix. Non è solo uno “spaghetti western” come viene venduto in America, la gente pensa a Sergio Leone, eppure poi si ritrova nel bel mezzo di atmosfere tipicamente horror. Ma questa serie ha molte sfumature, possiamo dire che il western è una cornice, racchiude una storia drammatica, parla di amore e di vendetta in un mondo crudo e violento. Come “Nuraghes”, un fantasy storico che porta in luoghi oscuri, tipici del panorama horror.
“That Dirty Black Bag” ha raccolto delle recensioni molto positive oltreoceano: come hai vissuto questo risultato?
Non pensavo di vedere il Wall Street Journal di New York che dedica una pagina intera a parlare bene della serie… non me lo aspettavo proprio, sono rimasto a bocca aperta. Quando mi è arrivata una copia dall’America quasi non ci credevo.
Quali sono le tue sensazioni in vista dell’uscita in Italia? Ti emoziona in modo particolare questo esordio in patria?
Si, sono molto felice che stia uscendo in Italia e nel resto dell’Europa, spero che la risposta di critica sia buona come è stato negli Stati Uniti e mi auguro che piaccia a chi mi segue da quando ho iniziato. Non mi aspetto un boom, il western non va più di moda da decenni, ma di certo non è la moda che mi ha spinto a fare quello che faccio, mi piace raccontare storie di fantasia che reputo interessanti, e questa lo è. Vi auguro una buona visione.
Non ci resta che attendere ancora qualche giorno per incrociare finalmente lo sguardo di Red Bill e dello sceriffo McCoy e immergerci nelle atmosfere di questo show, frutto di un talento capace di attraversare l’oceano.
* (Nuraghes S’Arena, cortometraggio del 2016, è una trasposizione epico-fantasy della civiltà nuragica, con protagonista il rapper Salmo; disponibile sul canale YouTube Nuraghes Official).