Il suo nome è sinonimo di “avventura”, il suo volto ha i tratti inconfondibili di Harrison Ford: è Indiana Jones, l’audace archeologo e stimato professore universitario protagonista di una delle saghe più amate della storia del cinema. Dal 1981, con l’uscita de “I Predatori dell’Arca Perduta”, al 2023, sono 4 finora i film che hanno raccontato le avventure mozzafiato di questo personaggio straordinario; l’ultimo capitolo dell’epopea, il quinto, “Indiana Jones e il quadrante del destino” uscirà nelle sale il 28 giugno; presentata in anteprima all’ultimo Festival di Cannes, la pellicola è valsa oltre 5 minuti di applausi tributati al suo protagonista, uno smagliante Harrison Ford -80 anni compiuti- insignito della Palma d’Oro alla Carriera.
Sarà l’ultima avventura di Indiana Jones sul grande schermo, la prima senza la regia di Steven Spielberg, che in questo caso ricopre solo il ruolo di produttore esecutivo insieme a George Lucas, creatore del personaggio oltre 40 anni fa; la direzione del film è stata affidata a James Mangold, scelto per raccontare un eroe al crepuscolo, colpito dal lutto ma convinto a partire per un nuovo viaggio irto di pericoli dalla figlioccia Helena Shaw (Phoebe Waller-Bridge), alla ricerca del fantomatico quadrante del destino. Si tratta della Macchina di Anticitera, un congegno in grado di alterare il tempo, di cui il protagonista conserva una metà, sottratta nel 1944 ai nazisti: alla caccia dell’artefatto, non a caso, c’è anche Jürgen Voller (Mads Mikkelsen), collaboratore della Nasa nel programma di allunaggio ma, soprattutto, ex SS, deciso a mutare il corso della storia e riportare agli antichi fasti il Terzo Reich.
Come nei precedenti capitoli, dunque, Indiana Jones cavalca la storia del Novecento, mescolandola a avventura e archeologia: è il 1969 e gli Stati Uniti, pur di battere la Russia nella sfida alla conquista dello spazio, sono disposti perfino a farsi aiutare dai nazisti che sono sfuggiti al processo di Norimberga; è un mondo che il nostro eroe non riconosce, quello del primo passo dell’uomo sulla Luna, ma bisognoso, ancora una volta, di essere salvato: la ben nota silhouette di Indiana Jones, con il suo immancabile borsalino, il giubbotto di pelle e la frusta alla cintura, si staglia all’orizzonte e l’avventura comincia, in compagnia di vecchi e nuovi amici, come Sallah (John Rhys-Davies), Renaldo (Antonio Banderas) e Teddy (Ethann Isidore).

Operazione nostalgia? Sono in tanti a chiedersi se ci fosse veramente bisogno di un capitolo finale per l’epopea di Indiana Jones, viste le critiche mosse al quarto film, “Il Regno del Teschio di Cristallo”, accolto tiepidamente da critica e pubblico; Harrison Ford ha dichiarato di aver deciso di rivestire i panni di uno dei suoi personaggi più iconici proprio grazie al copione che gli è stato proposto, capace di esplorare con la giusta combinazione di malinconia e spregiudicatezza la maturità di un uomo alle prese con una fase complicata della sua esistenza, ancora diviso tra insegnamento (e pre-pensionamento) all’università e avventure mozzafiato in alcuni dei siti archeologici più affascinanti del pianeta, affetti familiari persi e ritrovati, come nel caso dell’amata Marion Ravenwood (Karen Allen), e eroica solitudine, tipica dell’avventuriero votato alla propria causa.
Del resto, sono proprio queste le caratteristiche che hanno reso famoso Indiana Jones; George Lucas ha raccontato di essersi ispirato ai vecchi film d’avventura degli anni ’30, ma anche ai fumetti di Carl Barks con protagonista niente meno che Paperon De’ Paperoni, alle prese con la ricerca di preziosi tesori; il personaggio, che in parte ricalca la figura dell’archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni, noto per il suo spirito intraprendente e i modi rudi, è abbozzato fin dal 1973, ma solo 8 anni dopo Lucas, reduce dai successi di “Star Wars”, riesce a dedicarsi a Indiana Jones, come produttore e sceneggiatore. La regia, infatti, viene affidata all’amico Steven Spielberg -che cambia il cognome del personaggio da Smith a Jones-, reduce dal flop di “1941 – Allarme a Hollywood” e fermo da due anni. Per interpretare il protagonista viene scelto Tom Selleck, il famoso “Magnum, P.I.” della televisione, provvidenzialmente sostituito da Harrison Ford, ormai lanciato dal ruolo di Han Solo in “Guerre Stellari”: oggi sembra impossibile immaginare sotto il celebre borsalino un volto diverso da quello di Ford.

Il successo del film è stato immediato, la trilogia degli anni ’80, “I Predatori dell’Arca Perduta” (1981), “Il Tempio Maledetto“ (1984) e “L’Ultima Crociata“ (1989), con Sean Connery nei panni del padre del protagonista e, per l’ultima volta, Denholm Elliott in quelli dell’amico Marcus Brody, ha consegnato al pubblico un personaggio capace di incarnare il senso di meraviglia del cinema delle origini in tempi in cui gli effetti speciali già stavano rivoluzionando la “macchina dei sogni”, grazie a un meccanismo narrativo perfetto, votato con grande intelligenza all’intrattenimento nella sua forma più pura e spettacolare.
Che ne sarà di Indy -così era solito chiamarlo Short Round, giovanissimo compagno d’avventura, interpretato Ke Huy Quan (vincitore del Premio Oscar per Everything Everywhere All At Once)-, dopo quest’ultimo film? Negli anni ’90 il personaggio è stato già protagonista di una serie televisiva, “Le avventure del giovane Indiana Jones”, che a suo tempo, nonostante la fattura pregevole, non ha riscosso molto successo, ma non è detto che il professor Jones, già comparso in romanzi, fumetti e videogiochi, non possa ispirare una nuova epopea in streaming, con altri giovani personaggi per cui risuonerà, immancabile, il celebre tema composto da John Williams.