Nella serata della domenica appena trascorsa il mondo del cinema, impegnato a celebrare alcune delle premiazioni più importanti della stagione come i BAFTA Awards e i Critics Choice Awards, è stato scosso dalla notizia della morte di William Hurt. L’attore, nato a Washington nel 1950, avrebbe compiuto 72 anni la prossima settimana; fortunatamente ha potuto regalare al pubblico le sue interpretazioni fino alla fine della sua lunga, brillante carriera.
Nell’ultimo film, Black Widow del 2021, ha interpretato il Generale Thaddeus “Thunderbolt” Ross, personaggio con cui, a partire da L’Incredibile Hulk del 2008, è entrato a far parte dell’universo cinematografico Marvel; fa quasi sorridere pensare al fatto che William Hurt oggi sia ricordato dal pubblico più giovane per questo personaggio “monolitico”, proprio lui che, nel corso della carriera, si è distinto per la cura maniacale e l’introspezione con cui si è sempre preparato ad affrontare i suoi ruoli.
Formatosi in teatro con il Metodo Stanislavskij tra le fila della New York’s Civic Repertory Company, perfezionista, apparentemente nevrotico e scontroso con i giornalisti, salvo ammorbidirsi una volta risolti i problemi di dipendenza dimostrando un’indole sensibile e riservata, William Hurt si è fatto notare fin dal suo esordio cinematografico con Stati d’allucinazione (1980) di Ken Russell; nel 1986 vince l’Oscar per la commovente interpretazione di Luis Molina, personaggio estroso e romantico condannato al carcere per la sua omosessualità nel film Il bacio della donna ragno di Héctor Babenco, in cui Hurt recita accanto a un altro attore di talento scomparso prematuramente, Raúl Juliá. Il sodalizio artistico con il regista Lawrence Kasdan lo porta a lasciare il segno in pellicole di grande successo quali Brivido caldo (1981), Il grande freddo (1983), Turista per caso (1988) e, per un divertente cameo insieme a Keanu Reeves, Ti amerò fino ad ammazzarti (1990).Negli anni ’80 ottiene altre due nomination all’Oscar, per Figli di un dio minore di Randa Haines e Dentro la notizia di James L. Brooks, e nel 2005, per A History of Violence di David Cronenberg.
L’elenco dei film che lo hanno visto protagonista è lungo: da Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders a Smoke (1995) di Wayne Wang; da Jane Eyre (1996) di Franco Zeffirelli a A.I. – Intelligenza Artificiale (2001) di Steven Spielberg; infine, da The Village (2004) di M. Night Shyamalan a Into the Wild (2007) di Sean Penn. Si potrebbe continuare e, di certo, sottolineare come in ciascuna di queste pellicole, la capacità espressiva di William Hurt, interprete elegante e istintivo, sofisticato eppure autentico, abbia sempre costituito un valore aggiunto; come si vede, per descrivere efficacemente la recitazione di questo grande attore, appare utile, se non necessario, ricorrere a degli ossimori che ne sottolineino la duttilità e evocare così la rude dolcezza e la quieta follia della sua arte, del suo mestiere.
Inevitabilmente, quando vengono a mancare interpreti di questo calibro, la cui carriera ha accompagnato la vita di tanti appassionati di cinema, si prova a combattere quella strana malinconia, perfino un poco sciocca, per cui si ha la sensazione di aver perso un compagno di cammino con cui, seppure a distanza, si è condiviso un pezzo del proprio sentire; e allora, ecco emergere l’urgenza di tuffarsi in quelle storie, in quei mondi che sono stati anche nostri, grazie alla potenza della Settima Arte. Non sempre i film in cui ci si rifugia sono i più famosi e acclamati, non sempre le interpretazioni più premiate hanno suscitato quella scintilla che ha reso indimenticabile il volto di un interprete; comunque, vale la pena ricordare quei racconti e quei personaggi, perché vivano ancora, soprattutto a beneficio delle generazioni più giovani, che in questo caso, magari, conoscono William Hurt solo grazie a una piccola parte interpretata in una delle saghe cinematografiche più famose degli ultimi decenni.
E allora, un ragazzo degli anni ’70 potrebbe raccontare di William Hurt attraverso lo scrittore di guide turistiche Macon Leary, protagonista di “Turista per caso” diviso tra due donne diametralmente opposte, Sarah, ex moglie sofisticata e volitiva interpretata da Kathleen Turner, e Muriel, stralunata addestratrice di cani col volto di Geena Davis; una ragazza degli anni ’80, invece, potrebbe provare a descrivere lo sguardo folle e affascinante dello scorbutico Mr Rochester, impersonato da Hurt in “Jane Eyre”, il suo tormento interiore per un passato crudele e il suo slancio verso il nuovo amore per la forte e indipendente Jane interpretata da Charlotte Gainsbourg.
Così, attraverso il racconto, una miriade di personaggi prendono vita, ancora e ancora, a beneficio di chi ancora non li conosce: giovani alti e snelli col passo dinoccolato e un irresistibile ciuffo biondo, fragili e perennemente in cerca di risposte, o magari uomini eleganti dai penetranti occhi azzurri, duri, alteri, che nascondono un segreto inconfessabile o provano a svelarlo.
Saranno sempre lì, tra le pieghe di quelle storie indimenticabili, e avranno, per sempre, quel volto.