Sarà presentato domani, sabato 26 ottobre, l’esito della residenza artistica del Collettivo EFFE che chiude la seconda edizione di Giudicesse 2030, il progetto promosso dal Csc Carbonia della Società Umanitaria, curato da U-Boot Lab e realizzato in collaborazione con Ottovolante Sulcis.
Appuntamento alle 18:00 nella sala mostre del Palazzo del Capitolo di Sant’Antioco, in piazza de Gasperi 1 a Sant’Antioco, con interpretariato LIS a cura di Laura Frau, e sottotitolazione in tempo reale di Francesca Marchionne. A seguire aperitivo e djset con J-mve.
“Persino le spine sono spilli” è il titolo dell’installazione multimediale realizzata da Antonio Careddu, Giulia Odetto, Inès Panizzi e Camilla Soave. Uno studio sul costume tradizionale femminile a Sant’Antioco come rilettura, in chiave contemporanea, del ruolo della donna in Sardegna, e come riflessione sulle disequità di genere.
L’installazione, che rimarrà fruibile fino al 30 novembre 2024, è il frutto di due settimane di confronto e scambio con donne e ragazze di Sant’Antioco che, per diverse ragioni e in diversi contesti, sono legate al costume tradizionale. Durante i momenti di ‘vestizione’ sono emerse storie personali, di famiglia o collettive, che hanno svelato il loro rapporto con il ‘folclore’, i motivi che le spingono a continuare a indossare gli abiti tradizionali, il modo in cui questi abbiano influito storicamente sulla rappresentazione personale all’interno della comunità e come possano essere oggi strumento di auto-affermazione identitaria.
L’altro cardine del progetto è emerso invece da un profondo rapporto di simbiosi che Inés Panizzi, artista visuale e plastica, ha instaurato con la natura dell’isola. La sua ricerca affronta e sviluppa il tema della provvisorietà dell’abito attraverso l’uso di specie vegetali costiere che, attraverso l’intreccio, diventano elementi portanti di una struttura effimera, un abito contemporaneo e provvisorio ispirato a quelli tradizionali, ma che attraverso la deperibilità del tessuto naturale di cui è composto si oppone alla cristallizzazione di ruoli prestabiliti.
L’installazione interseca queste linee di indagine mettendo in dialogo l’opera audiovisiva e l’abito scultura, e suggerisce una fruizione componibile che, attraverso una narrazione tripartita – visiva, sonora e plastica – restituisce al pubblico il percorso di ricerca sviluppato dal collettivo con la comunità e con la natura di cui fa parte, chiamandolo a scegliere una personale modalità di fruizione.
Spiegano i componenti del Collettivo EFFE: «Abbiamo incontrato donne e ragazze che hanno dialogato con noi in forma privata o in quanto rappresentanti di gruppi e associazioni che conducono ricerche sul costume. Un aiuto fondamentale è arrivato dal Gruppo Antica Città di Sulki e dall’Associazione Terza Età. L’incontro con questi due gruppi ci ha permesso di vedere dal vivo i costumi e di assistere anche ai momenti delle vestizioni. Abbiamo poi avuto importanti momenti di confronto quasi quotidiani con Carmen Soncin, generosissima esperta di tessuti tradizionali; con Pinella Ecca e Salvatorina Iesu esperte di costume; con RobertaGarau, specialista di tintura di filati con tecniche antiche e non solo che ci ha dato una prospettiva rivolta al futuro del rapporto col costume e con il mondo del tessuto e la signora Antonietta che abbiamo incontrato per strada e con la quale abbiamo chiacchierato a lungo.
Anche la realizzazione dell’abito scultura si è nutrita dell’incontro con alcune donne del territorio che abbiamo coinvolto con attività di ricerca di materiali deperibili e che ci sono state utili per avere una chiave di lettura intima del territorio in cui la scultura avrebbe preso vita. L’opera installativa è quindi frutto dell’incontro tra il gruppo di lavoro e la comunità e non avrebbe avuto la sua forma finale se non si fosse nutrita degli incontri col territorio».