L’agricoltura biologica è una delle attività che negli ultimi anni si è diffusa maggiormente. Confusa spesso con l’agricoltura biodinamica, viene inneggiata (e molto spesso massacrata) da tantissimi agricoltori. In Sardegna sono presenti tante filiere biologiche, ma da qualche mese a questa parte si è creato un vero e proprio distretto biologico tutto sardo, che protegge la categoria.
Ma andiamo per gradi: prima di capire cos’è un distretto biologico è doveroso sapere cos’è l’agricoltura biologica e quali sono le caratteristiche delle filiere per poter rientrare nell’area “Bio”. Il DDL 998 dice che chi pratica l’agricoltura biologica deve sfruttare la naturale fertilità del suolo, favorendola con degli interventi limitati, promuovere la biodiversità delle specie domestiche ed escludere completamente l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM). L’agricoltura biologica è senz’altro un elemento chiave per migliorare la qualità del territorio, che in alcuni casi è minacciato dall’abbandono delle campagne o dalla pressione dell’agricoltura intensiva.
In Italia ci sono tanti distretti biologici appartenenti all’AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), che ha registrato il termine bio-distretto: chiunque voglia utilizzarlo deve necessariamente rispettarne le regole. Il distretto biologico nato in Sardegna, però, non è collegato con AIAB, ma è nato da zero grazie all’Associazione Sardegna Bio.
I distretti biologici non sono altro che delle aree geografiche naturalmente vocate al biologico nella quale diversi componenti del territorio (agricoltori, produttori, privati cittadini etc) stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, puntando su produzioni biologiche che coinvolgono tutti gli anelli delle filiere, fino al consumo.
L’Associazione Sardegna Bio, coadiuvata da Coldiretti, Comune e Città metropolitana di Cagliari, ANCI Sardegna e la Fondazione ITS filiera agroalimentare della Sardegna, ha creato questo distretto che permetterà di programmare e catalizzare i finanziamenti stanziati per i distretti e per il biologico. La Sardegna è la regione migliore per la creazione di un distretto biologico, in quanto conta su una scarsa industrializzazione, una bassa concentrazione demografica e una qualità dell’ambiente abbastanza alta. Un terreno fertilissimo per la coltivazione biologica, dunque.
Questo distretto intende favorire rapporti più equi nella filiera grazie alla creazione di nuove relazioni dirette tra produttori e consumatori con l’ausilio di modelli distributivi alternativi, come la filiera corta e gruppi di acquisto solidale. Un obiettivo importante è quello di convincere le pubbliche amministrazioni a incrementare gli acquisti verdi per mense scolastiche, servizi pubblici e ospedali. La parola d’ordine, infatti, è condivisione: il distretto biologico per funzionare deve integrarsi con altre filiere connesse, come il turismo e l’artigianato. Il rapporto costante con le amministrazioni locali, inoltre, garantisce un’azione tempestiva sulle priorità del territorio.
Ma anche noi comuni cittadini dobbiamo collaborare: il nostro pieno coinvolgimento e la nostra sensibilizzazione all’argomento, sia come destinatari che come attori partecipanti al progetto, può determinare notevolmente l’impatto sul territorio. Il presidente dell’associazione di produttori Sardegna-Bio, Andrea Campurra, ha già avviato degli incontri per invitare tutte le aziende biologiche sarde a partecipare, ricevendo anche un buon riscontro dalla Regione, disponibile a valutare l’iniziativa con un gruppo di esperti per poi riconoscerla attraverso una delibera della giunta regionale entro dicembre.
La Sardegna però punta ancora più in alto: si mira ad entrare in rete con la Sicilia e Campania, dette interessate alla valorizzazione dell’agricoltura biologica. Si spera poi, inoltre, che il distretto sia un input favorevole all’esportazione dei prodotti biologici locali a livello internazionale, dialogando con i vertici del Mipaaf e avere accesso a più fondi, in modo da sviluppare ricerca, innovazione e cultura rurale, attivare filiere corte e conciliare la tutela della biodiversità con lo sviluppo di aree rurali e vocazione agricola più avanzata.
Secondo un’analisi della Coldiretti, il territorio sardo ha superato i 120mila ettari di superficie biologica nel 2019 (cioè il 10,2% della superficie agricola utilizzata), e le aziende agricole impegnate nel biologico sono circa duemila. È una ventata d’aria fresca per la produzione in Sardegna, anche e soprattutto per la totale indipendenza del progetto che mostra quanto in Sardegna si tenga non solo alla qualità dei prodotti da presentare nelle tavole degli italiani, ma alla rivalutazione del territorio e al suo miglioramento.