L’ambiguo fascino della virtù nel “Tartufo” in tournée nell’Isola sotto le insegne delCeDAC per un vivido e spietato affresco di varia umanità: la celebre commedia di Molière (al secolo Jean-Baptiste Poquelin) debutterà in prima regionale martedì 9 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Sassari, per approdare mercoledì 10 aprile alle 21 al Teatro Civico Oriana Fallaci di Ozieri e infine giovedì 11 aprile alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania per la Stagione 2018-2019 de La Grande Prosa nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Sotto i riflettori Giuseppe Cederna – nel ruolo dell’inquietante protagonista, un pericoloso seduttore, quasi un “profeta anticonformista” o meglio un “guru fanatico” che come un “angelo oscuro” o un “demone pietoso” irrompe nella casa di un ricco borghese stravolgendone i fragili equilibri e «con la sua radicalità scatena tutti i desideri e le furie» – accanto a Valentina Sperlì – l’enigmatica Elmira – e Roberto Valerio – che firma anche la regia – nei panni di Orgone – prima vittima dell’inganno, quasi folgorato dalle rivelazioni di quel maestro nell’arte della finzione divenuto il simbolo dell’ipocrisia.
La pièce – nell’interessante mise en scène dell’Associazione Teatrale Pistoiese / Centro di Produzione Teatrale – tocca un tema cruciale nell’odierna civiltà dell’apparire, mettendo l’accento sul contrasto tra le alte qualità morali ostentate pubblicamente dall’ospite e i suoi reali intenti, sottolineando la dissonanza tra l’imperturbabilità di una maschera e l’intreccio di ambizione, avidità e lussuria che si celano dietro quell’immagine di perfezione esteriore. Una vicenda emblematica – proiettata in pieno Novecento, tra perbenismo e materialismo, con le evocative scenografie di Giorgio Gori e i variopinti costumi di Lucia Mariani, in un crescendo drammatico in cui la farsa si volge (quasi) in tragedia, sottolineato dal disegno luci di Emiliano Pona – la regia del suono è di Alessandro Saviozzi – conserva tutta la sua attualità.
Nel cast (in ordine alfabetico) anche Paola De Crescenzo (Marianna, la figlia di Orgone), Massimo Grigò (Cleante, cognato di Orgone, ma anche il cameriere Lorenzo), Elisabetta Piccolomini (Madama Pernella, madre di Orgone e anch’essa come il padrone di casa ammaliata dal perfido ingannatore), Roberta Rosignoli (la cameriera Dorina) e Luca Tanganelli. (Damide, figlio di Orgone e potenziale “rivale” di Tartufo nella lotta per l’eredità) prestano volto e voce ai personaggi di un intrigante e efficace “ritratto di famiglia” tra asperità e contrasti, speranze e segreti.
“Tartufo” (nell’originale Tartuffe ou l’Imposteur) è un vertiginoso viaggio nei labirinti della mente, tra l’ingenuità incomprensibile e quasi paradossale di Orgone, un uomo perbene ma vulnerabile all’adulazione e la malizia dell’estraneo che egli ha accolto, velenoso e infido come una serpe in seno, portatore di profonde e illuminanti verità e sostenitore di saldi e rigidi principi (cui si guarda bene dall’attenersi in privato), un abile mestatore che stravolge la quiete domestica fin quasi a provocare una catastrofe.
Molière rappresenta un microcosmo in cui la figura di Orgone – il pater familias che detiene o meglio dovrebbe detenere il potere insieme alla responsabilità di provvedere alle necessità di quanti son soggetti alla sua auctoritas – si lascia fatalmente guidare dall’individuo senz’altro stravagante e eccessivo, incarnazione ai suoi occhi di una più alta spiritualità e di una visione superiore dell’esistenza, emblema di purezza e nobiltà di spirito.
Un fustigatore di costumi (altrui) che si rivelerà un mistificatore, non prima di aver minato i rapporti e i legami, insinuando più di un dubbio sulla saggezza e la lungimiranza di un padre e marito: Orgone è come “ipnotizzato” dal misterioso “carisma” di quel moralista così rivoluzionario dietro la cui facciata si nasconde un parassita, le cui reali aspirazioni son state ben comprese dalla servitù e dai familiari, cui il seduttore ha mostrato il suo vero volto. Nella sua posizione di capofamiglia spesso trascurato o messo in discussione dai figli, innamorato ma in certo qual modo anche succubo della moglie, quel bravo borghese intravede forse nella filosofia di vita suggerita dall’ospite una possibilità di riscatto e affermazione di sé. Fin troppo facile preda dell’illusione, Orgone riflette «la fragilità di un cuore catturato per la prima volta», insieme al «potere comico di un’anima contraddittoria», nella sua coscienza della sua marginalità ridotta al compito di soddisfare i bisogni più immediati e concreti, sembra quasi voler punire quella implicita rivolta imponendo agli altri quel “ribelle” dalla personalità luciferina.
Una commedia dolceamara sulla innegabile fragilità umana in cui Molière si scaglia contro l’ipocrisia, tanto da suscitare aspre reazioni e tentativi di censura, ma che risulta per la precisa delineazione dei caratteri e il raffinato meccanismo teatrale, tra pathos e colpi di scena, assolutamente godibile e “credibile” pur nei toni grotteschi anche in un’attenta rilettura in chiave (quasi) contemporanea – in cui l’amoralità di Tartufo si conferma ancora una volta – in ogni epoca – in tutta la sua sulfurea potenza, al di là del bene e del male.