Anche se in Italia è arrivato un po’ tardi, oggi il fenomeno del sushi è diffuso in tutta la penisola e non accenna a perdere colpi. Ma partiamo dalla definizione del termine: cosa significa “sushi”? La parola “sushi” in giapponese vuol dire “aspro” e veniva usata per descrivere le pietanze a base di riso condito con l’aceto. Il sushi è infatti un cibo tipico della cucina giapponese a base di riso cotto con aceto e combinato con svariati tipi di pesce, alghe, verdure, uova e salse.
In tanti danno per scontato che questa pietanza sia nata proprio in Giappone, ma non è così. Molti elementi della cultura giapponese, infatti, traggono le proprie origini da altre nazioni e il sushi è tra questi. L’alimento è stato importato nel Paese, modificato e poi adattato ai gusti dei suoi abitanti, fino ad entrare nella cultura e nello stile di vita giapponese. Il sushi nasce infatti nel sud est asiatico nel IV secolo, dove si inizia a diffondere un metodo di conservazione del pesce molto particolare. Il pesce crudo veniva eviscerato, salato, disposto a strati alternati di riso cotto e tenuto pressato per alcune settimane. Questo procedimento di fermentazione determinava un aumento di acidità, che permetteva di conservare l’alimento senza che si guastasse per interi mesi. Quando bisognava consumarlo, il riso veniva buttato e veniva mangiato solo il pesce.
Tale metodo di conservazione veniva chiamato “narezushi” o “funazushi” e arrivò in Giappone grazie agli scambi tra i viaggiatori cinesi e coreani. Nel Paese furono introdotte poi alcune rielaborazioni del procedimento. Intorno al XV secolo si cominciò a non buttare più il riso fermentato ma a gustarlo insieme al pesce in una pietanza detta “namanare”. È in quegli anni che il sushi si trasforma da semplice metodo di conservazione a vera e propria ricetta.
Tra il XV e il XVIII secolo, a Tokyo si diffuse un nuovo modo di preparare il sushi che si chiamava “haya-zushi” (“sushi veloce”): non si aspettava più che il riso fermentato diventasse acido, ma si mischiava il riso bollito e l’aceto al momento e poi lo si combinava con il pesce, verdure e altri generi di condimenti.
Ma un primo importante cambiamento arrivò nel corso del XIX secolo, quando nelle bancarelle che vendevano cibo da strada a Tokyo, si iniziò a preparare il “nigiri-zushi”, ovvero il sushi composto da bocconcini di riso con sopra fettine di pesce crudo. L’inventore del nigiri e colui che viene riconosciuto ancora oggi come l’inventore del sushi è Hanaya Yohei, uno dei gestori di bancarelle. La ricetta prevedeva che il pesce venisse marinato con la salsa di soia e il sale in modo tale che potesse durare più a lungo mantenendo la sua freschezza. Spesso però ciò non era sufficiente e quindi fu introdotto il wasabi, una pasta verde piccante usata per nascondere il gusto sgradevole del pesce non più fresco.
È solo nel XX secolo che il sushi arrivò ad avere la forma che tutti conosciamo. Da cibo da strada la pietanza si trasformò in un cibo di lusso. Nel 1958, Yoshiaki Shiraishi rivoluzionò il modo di mangiare la specialità giapponese inventando il “kaiten-zushi” (“sushi girevole”), ovvero il nastro trasportatore di piattini di sushi che viene fatto girare davanti al bancone dove son seduti i clienti. La sua idea fu subito apprezzata e copiata in tutto il Giappone. Nel corso degli anni ’80 la specialità sbarcò negli Stati Uniti: tutti i locali più alla moda erano forniti del piatto del momento e il sushi iniziò a diffondersi in occidente.
Oggi il sushi è tra i cibi più in voga anche in Italia e tra le varietà più conosciute e amate ci sono ancora i “nigiri” creati da Yohei. Questi sono composti da un bocconcino di riso con adagiata sopra una fetta di pesce crudo, solitamente salmone, tonno, branzino o gambero. I “gunkan” sono invece una sorta di variazione dei nigiri: il cubetto di riso viene avvolto con l’alga in verticale in modo da comporre una specie di cilindro con la parte superiore colma di tartare o uova di pesce. Altra tipologia di sushi molto apprezzata sono gli “uramaki”, dei rotolini di riso con l’alga all’interno che contiene pesce o verdure e all’esterno decorati con uova di pesce, salse o semi. Gli “hosomaki” sono più piccoli rispetto agli uramaki, vengono preparati con l’alga all’esterno e possono avere differenti farciture. I “futomaki”, invece, sono simili agli hosomaki ma più grandi e più bassi.
Ma come si mangia il sushi? La pietanza può essere gustata sia con le mani che con le bacchette (e nessuno vieta di usare anche le posate al bisogno). In Giappone però se si usa il secondo metodo bisogna fare attenzione a non infilzare la pietanza perché si ritiene che il gesto porti sfortuna, oltre che essere considerato segno di maleducazione.