Un’area fertile, che tra eccellenti produzioni di agrumi e tradizioni culinarie non può fare altro che alimentare orgoglio nostrano. Sito nella provincia del Sud Sardegna, il comune di San Vito si distingue per essere tra i centri più interni del Sarrabus, subregione dal ricco passato estrattivo. Un legame storico-geografico ben attestato anche dal villaggio minerario di Monte Narba, a pochi chilometri dall’abitato sanvitese.
Nato nel corso del XIX secolo d.C., il villaggio di Monte Narba porta con sé un’esistenza tanto peculiare quanto breve in virtù della relazione con l’attività mineraria locale. Malgrado fosse già noto nel ‘700 grazie a diverse esplorazioni, solo nel secolo successivo il sito conobbe infatti un periodo fiorente divenendo tra i più rilevanti giacimenti d’Italia, nonché un prolifico snodo della cosiddetta “Via dell’Argento”. Comprendente circa 10 aree minerarie sarde, l’azione di quest’ultima è documentata con foto e oggetti da lavoro nell’omonimo museo locale, attualmente non accessibile.
Piena di aspettative, la ricchezza di Monte Narba ebbe un’importante conseguenza, ossia la nascita di un insediamento per ospitare i minatori operanti. Un progetto ambizioso, reso possibile dall’operato della Società Anonima Miniere Lanusei, gruppo genovese che nel 1864 ottenne in concessione il sito. Intuendo le potenzialità di Monte Narba, essa infatti avviò subito estrazioni d’argento e piombo, così instancabili da dover rivedere la situazione abitativa degli operai.
Oltre a pozzi e chilometri di gallerie, si decise quindi di far costruire un villaggio dotato di servizi essenziali quali un piccolo ospedale, una falegnameria, un’officina meccanica e un luogo di vendita di generi alimentari. L’area presto conobbe inoltre novità come energia elettrica e un telefono, seguite dalla costruzione di “Sa Macchina Beccia” (“la macchina vecchia”) – pozzo principale collegato a una dozzina di gallerie – e di una laveria per accogliere i minerali dei cantieri.
Una cittadina a tutti gli effetti, dove non mancavano anche le case di minatori, impiegati, dirigenti e la sede del direttore, chiamata Villa Madama. Cuore gravitante del villaggio, essa fu progettata dall’ingegnere e direttore della miniera Gian Battista Traverso con stile elegante a tre piani e due accessi, uno dei quali affacciava su un rigoglioso giardino. La raffinatezza strutturale si accompagnava inoltre a comodità all’epoca ritenute sfarzose, quali un refrigeratore e una caldaia a legna. Villa Madama accoglieva infine anche gli uffici amministrativi, dove tutt’oggi è possibile osservare una rastrelliera, formata da telaio con mensole dove si collocavano documenti e carte topografiche.








Efficiente e organizzata, l’esistenza del villaggio di Monte Narba procedette fino alla fine del XIX secolo, quando la miniera entrò in crisi a seguito della concorrenza e dell’impoverimento dei depositi metalliferi. Malgrado tentativi di ripresa, il sito minerario passò a diverse società fino a perdere la concessione nel 1935 ed essere abbandonato. Una precarietà colmata per un certo tempo da un’azienda agricola, che stabilì nel villaggio scuderie e magazzini anch’essi però poi definitivamente sgombrati.
Nonostante l’oblio del che l’ha reso un luogo solitario, il villaggio di Monte Narba restituisce tutt’oggi una storia complessa e magnetica.Assieme a resti della laveria e dell’officina, il palazzo della direzione è centrale nell’evocare un passato illustre, a partire dalla sigla in ferro battuto “SL” (Società Lanusei) posta sopra l’ingresso.
A sua volta l’interno rivela altri particolari negli affreschi del soffitto e delle pareti al piano superiore, opera di un maggiore dell’esercito austro-ungarico. Grazie alla posizione remota e isolata, si dice infatti che durante la Prima Guerra Mondiale prigionieri austriaci venissero condotti al villaggio e costretti a lavori forzati. Nel 1916 fu la volta anche dell’autore degli affreschi, i quali malgrado gli agenti atmosferici mantengono ancora brillanti colori.
La zona mineraria di Monte Narba si trova a pochi chilometri da San Vito (SU). Dopo essere usciti dal paese per dirigersi verso Muravera lungo la Strada Statale 387, è necessario superare il ponte sul torrente Flumini Uri e seguire il cartello stradale che conduce a un percorso sterrato. Posto sulla sinistra, imboccandolo e percorrendolo si arriverà alla mèta.
Sebbene la visita sia libera e gratuita, a causa dello stato pericolante è sconsigliabile addentrarsi da soli negli edifici. Per ulteriori informazioni è possibile scrivere al Comune di San Vito all’indirizzo e-mail [email protected].