Giustizia e libertà, bene e male, colpevolezza ed innocenza. Se dovessimo individuare un luogo in cui questi concetti si incrociano suscitando riflessioni, potremmo parlare delle strutture carcerarie, deputate allo sconto di una cosiddetta pena detentiva. Parallelamente alla significativa importanza giudiziaria, tali siti hanno alle spalle vicissitudini da narrare in virtù del passaggio di diverse figure tra le loro mura. Una storia interessante giunge direttamente dall’ex carcere di San Sebastiano, eretto a Sassari nel corso del XIX secolo e ad oggi testimonianza di grande rilievo socio-penale.
La vicenda del carcere di San Sebastiano parte dagli anni ‘50 dell’Ottocento, periodo in cui la struttura occupò un’area adibita precedentemente al carcere duecentesco di San Leonardo. A seguito del suo smantellamento, tra il 1857 e il 1871 si procedette con la costruzione di San Sebastiano secondo il progetto dell’architetto Giuseppe Polani, strettamente legato ad una rinnovata concezione di carcere. Difatti, nel corso del XIX secolo si era cominciato a rivedere il concetto di spazio carcerario, fino a quel momento semplice luogo di custodia e ripensato come sito riabilitativo per il detenuto. Conseguenza diretta di ciò fu la diffusione di un nuovo modello di penitenziario nato per colmare l’esigenza.
Una prospettiva stimolante in risposta ad un obiettivo preciso, processo in cui Polani si inserì perfettamente con l’ideazione di progetti architettonici per il Ministero dell’Interno. Oltre a città come Torino, Genova e Perugia, egli si dedicò anche al penitenziario sassarese, probabilmente chiamato “San Sebastiano” in quanto sorto su un’area prima occupata da un’omonima chiesa sconsacrata. I lavori furono avviati a fine anni ‘50, ma subirono battute d’arresto per questioni legate alla friabilità di alcuni materiali utilizzati. Passati quasi 15 anni la costruzione fu finalmente inaugurata, rendendo San Sebastiano un inedito spazio dal punto di vista delle norme igienico-sanitarie e soprattutto per il tentativo di umanizzare il percorso detentivo.
Lungo l’intero arco della sua attività – cessata nel luglio 2013 – il carcere di San Sebastiano ospitò tra i personaggi più pericolosi della criminalità organizzata. L’apice di tale flusso fu raggiunto nel corso del ‘900, quando diversi sbarchi di camorristi e mafiosi causarono malcontento nella popolazione sassarese. Il disagevole andirivieni fu criticato anche dai politici stessi, in particolare dopo una rivolta carceraria scoppiata nel 1910 e rientrata a fatica. Tra le molteplici personalità accolte da San Sebastiano ci fu anche il boss Enrico Alfano, considerato uno dei capi assoluti della camorra campana. Detto anche “Erricone”, egli si macchiò di svariati crimini, tra cui l’omicidio del rivale camorrista Gennaro Cuocolo e di sua moglie nel giugno 1906.








Eretto appositamente nella periferia della città, il penitenziario di San Sebastiano si posizionava in modo da tenere distanti i criminali dalla vita civile, ma senza isolarli troppo. Sfruttando un modello affine ad altri suoi progetti, Polani concepì San Sebastiano secondo il principio del cosiddetto “Panopticon”, – dal greco “Optikon” (“osservare”) e “Pan”, ossia “tutti” – pensato proprio per osservare i detenuti senza che se ne rendessero conto. Strutturalmente questo si rifletté sull’articolazione carceraria stessa, costituita da un corpo circolare da cui partivano 6 bracci organizzati su 3 o 4 livelli di celle. Ogni ramo poteva essere monitorato da un’unica postazione centrale, permettendo di controllare costantemente i detenuti e far mantenere loro un comportamento disciplinato. Inoltre, all’interno del carcere era presente anche un “parlatorio”, zona in cui i carcerati potevano interloquire con parenti e i propri avvocati. Andando a vedere la conformazione esterna, inizialmente il complesso era circondato da mura di cinta e da 4 torri attornianti la facciata principale, quest’ultima ad oggi non più visibile. Sorte simile toccò anche al tratto murario affacciato su via Roma e a 2 bracci dello stabile, mutilati negli anni ‘50 del ‘900.
L’ex carcere di San Sebastiano si trova in via Giorgio Asproni a Sassari. Chiuso per la maggior parte dell’anno, esso è accessibile al pubblico in ricorrenze particolari, come ad esempio le giornate FAI, organizzate periodicamente dall’associazione Fondo per l’Ambiente Italiano.