Un fenomeno che appare inarrestabile e che, decennio dopo decennio, mette sempre più a repentaglio il futuro dell’intera Regione. Si tratta dello spopolamento, problema tanto antico quanto attuale, che continua ad affliggere pesantemente la Sardegna.
Le cause dello spopolamento
Non solo i piccoli paesi dell’entroterra sardo e le aree rurali, anche le principali città e le zone costiere sono coinvolte da un trend negativo dovuto, soprattutto, ad un calo demografico allarmante, con un numero di nascite di gran lunga inferiore a quello delle morti.
La popolazione invecchia, l’età media in Sardegna è più elevata rispetto alla media nazionale, mentre i giovani sardi, sempre più specializzati, sono i principali protagonisti di un importante flusso migratorio. Le mete prescelte sono in genere il nord Italia e le principali capitali europee, in grado di offrire, attualmente, maggiori prospettive di lavoro e, di conseguenza, un futuro migliore.
Tutto questo determina un progressivo abbandono dei territori, la scomparsa di molti piccoli centrie un costante smarrimento del patrimonio e delle tradizioni storiche e culturali dell’Isola.
Si stima che, entro il 2030, interi borghi saranno praticamente disabitati, mentre, secondo un rapporto Eurostat, nel 2050 le zone del Medio Campidano, del Sulcis, di Oristano e di Nuoro, conteranno una riduzione della popolazione residente di almeno un quarto.
Geridu, recuperati i resti del villaggio medievale abbandonato
Quello dello spopolamento è un problema con cui la Sardegna deve fare i conti ormai da secoli. Si conta che siano almeno 500 i villaggi sardi scomparsi dal 1400 ad oggi.
Uno di questi è Geridu, un villaggio medievale distante circa 2 km da Sorso, in provincia di Sassari, che contava circa 1500 abitanti e che, nell’arco di cento anni, tra il 1300 e il 1400, ha subito uno spopolamento tale da risultare poi del tutto abbandonato.
Le tracce di questo villaggio, ormai sepolto, sono state riportate piano piano alla luce grazie ad una importante campagna di scavi archeologici cominciata oltre 25 anni fa, nel 1995, dal dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, sotto la responsabilità del professor Marco Milanese, ordinario di Archeologia, con il sostegno del Comune di Sorso e della Soprintendenza archeologica di Sassari.
Quello che è riemerso non può che essere considerato una testimonianza fondamentale dello stile di vita di una comunità rurale vissuta intorno al 1350 e che presentava già tratti di modernità. Sembra si trattasse, infatti, di un agglomerato di almeno 15 case costruite in modo molto simile a quelle presenti nella vicina città di Sassari, coperte con tegole, non con rami e paglia, e con muri in pietra, cementati con fango e intonacati con l’argilla. Al loro interno sono state rinvenute suppellettili simili a quelle tipiche della città, come il vasellame proveniente da altre zone dell’Italia e dalla Penisola Iberica, e poi delle monete, sicuramente non coniate in Sardegna, che venivano utilizzate quotidianamente per gli scambi economici. Queste abitazioni erano organizzate intorno alla Chiesa di Sant’Andrea, risalente alla prima metà del XIV secolo, e ad un sontuoso palazzo, entrambi poi demoliti, mentre vicino c’era un cimitero.
Le cause dell’abbandono di Geridu sono sicuramente da ricercare nella pressione fiscale, nel sopraggiungere della peste e nella guerra tra Aragonesi e Genovesi.
Il museo “Biddas” di Sorso
Il lavoro di recupero svolto finora ha fatto sì che questo patrimonio non andasse perduto del tutto.
Grazie al museo “Biddas – Museo dei villaggi abbandonati della Sardegna”, che ha appena riaperto i battenti e di cui il professor Marco Milanese è il Direttore, tutti possono conoscere e osservare gli usi e i costumi di Geridu e dei suoi abitanti.
Il Museo Biddas si trova a Sorso, in un Palazzo Baronale risalente al XVIII secolo, oggi restaurato. Si tratta del primo museo in Italia dedicato al tema dello spopolamento e dell’abbandono dei centri abitati. Qui viene raccontata la realtà dei 500 villaggi sardi scomparsi nel corso dei secoli, dall’età medievale a quella contemporanea, proprio partendo dai resti di Geridu, a cui è dedicata un’intera sala.
Si tratta di un museo interattivo dove sono stati ricostruiti gli ambienti e gli oggetti, che è possibile osservare da vicino e toccare attraverso un percorso esperienziale. I visitatori vengono guidati, attraverso un viaggio nel tempo, dagli esperti della Cooperativa Sarda di archeologia medievale.
Un vero e proprio unicum a livello nazionale insomma, dove archeologia, storia, antropologia e sociologia vengono unite in un progetto teso a far comprendere a tutti le cause che portarono all’abbandono dei villaggi medievali, facendo così riflettere sulle motivazioni che, ancora oggi, stanno conducendo ad un progressivo spopolamento di diverse zone della Sardegna e non solo.
Il Museo Biddas è visitabile sino al mese di settembre 2022 nei seguenti giorni e orari: il martedì dalle 16 alle 20; dal mercoledì al venerdì dalle 9 alle 13; il sabato e la domenica dalle 16 alle 21.
Per tutte le informazioni e gli aggiornamenti è possibile consultare la pagina Facebook del museo.