“Come in un film storico c’è una protagonista che viene dal passato. Appare con il suo costume inizio ‘900… Lei è la lavoratrice per eccellenza, il simbolo di maestria e precisione, ma anche della rivoluzione che nel 1906 sconvolse Cagliari e la Sardegna. Lei è una sigaraia!”
Karim Galici
Viaggio nella memoria della città con “La Sigaraia. Una popolana nei quartieri popolari”, la performance ideata e diretta da Karim Galici in programma domani, 24 settembre, dalle 11:00 alle 13:00 al Mercato di via Quirra e domenica 25 settembre dalle 11:00 alle 13:00 al Mercato di Sant’Elia a Cagliari nell’ambito del progetto “Storie di Manifattura” 2022 a cura di Impatto Teatro: tra i banconi e le merci esposte, si aggireranno le operaie dell’antico opificio, in abiti d’epoca, mescolandosi alla folla di venditori e acquirenti.
Fantastiche e suggestive “apparizioni”, donne e ragazze idealmente sfuggite dalle pagine di un libro o da una fotografia in bianco e nero, le creature dell’immaginario interpretate da Adriana Monteverde, Anna Cardis, Daniela Mormile, Chiara Cocco, Cristina Copez e Angelica Adamo si materializzeranno a sorpresa tra gli abitanti e i tanti frequentatori del borgo dei pescatori in riva al mare. Accanto a loro, a completare l’illusione di un salto indietro nel tempo, fino ai primi del Novecento, anche Gianluca Picciau nei panni di un impiegato: oltre alle sigaraie, che con le loro dita agili e sottili separavano le foglie e curavano le varie fasi della preparazione dei preziosi sigari, nella Manifattura lavoravano anche artigiani e operai, dirigenti, impiegati e contabili, con mansioni che sono via via mutate con l’evoluzione tecnologica e la trasformazione degli impianti.
Nell’atmosfera lieta e serena di una giornata di festa, i sette performer regaleranno istanti di emozione e meraviglia attraverso la magia del teatro e della danza, in una sorta di artistico “flash mob” facendo rivivere fuori dai cancelli dell’ex Manifattura Tabacchi, nel cuore di Is Mirrionis e nel suggestivo rione affacciato sul mare, frammenti di storie vere o inventate, ispirate ai documenti e alle testimonianze di coloro che hanno conosciuto da vicino, se non direttamente, attraverso i racconti delle loro madri, mogli e sorelle la realtà della fabbrica di sigari e sigarette. Le “incursioni” nei diversi quartieri cagliaritani, da Sant’Elia a Is Mirrionis, San Michele, C.E.P. e Sant’Avendrace si inseriscono nell’articolato progetto “Storie di Manifattura” 2022 con la direzione artistica di Karim Galici dedicato all’imponente esempio di architettura industriale sorto nella seconda metà del Settecento sulle rovine di un Convento dei Francescani, distrutto durante un assedio dagli spagnoli, e più volte ampliato e rimodernato tra Ottocento e Novecento, fino alla definitiva chiusura nel 2001, per essere poi ripensato come Fabbrica della Creatività.
Tra le iniziative e le “azioni” del progetto, che punta a lasciare un segno e una eredità durevole attraverso l’intreccio tra arte e tecnologia, le “apparizioni” delle sigaraie, simbolo di emancipazione femminile (quasi) ante litteram, che grazie al loro lavoro non solo potevano dare un contributo importante al mantenimento delle rispettive famiglie ma anche acquistare una embrionale coscienza di classe e una maggiore consapevolezza di sé.
L’abilità manuale, la precisione, la velocità sono qualità preziose ma all’interno della Manifattura Tabacchi si rafforza la solidarietà, ci si aiuta e sostiene a vicenda, alternandosi e affiancandosi nei lunghi turni di lavoro, ma anche nella nursery, dove i bambini trascorrono i primi mesi come fratelli di latte: la modernità, a Cagliari come altrove, passa anche dall’attività in fabbrica, con la partecipazione ai primi scioperi e alle manifestazioni di protesta, come la rivolta del maggio 1906.
“La Sigaraia. Una popolana nei quartieri popolari” trasporta le antiche operaie nel presente: figure dell’immaginario, raccontate da scrittori come Sergio Atzeni e Francesco Abate, le sigaraie si mostrano a sorpresa tra i loro concittadini, interagiscono, mettendosi perfino in fila e facendo le loro compere come normali clienti (così come il loro collega), non fosse per l’anacronismo dei vestiti e delle acconciature, chiari rimandi alla temperie di inizio Novecento. Nelle loro “apparizioni” vibra però l’anima autentica e popolare della città, il coraggio e la determinazione delle donne che superando stereotipi e pregiudizi hanno deciso di farsi strada nel mondo, conquistando e riaffermando attraverso il lavoro, faticoso ma comunque retribuito, seppure non sempre adeguatamente, la propria dignità e la propria libertà.
«La sigaraia è per me uno dei simboli veraci della cagliaritanità, dell’essere casteddai, dell’avere l’umiltà per fare lavori pesanti, ma anche la forza di ribellarsi se ci sono delle ingiustizie» – afferma il regista Karim Galici. «Lei è la lavoratrice per eccellenza, il simbolo di maestria e precisione, ma anche della rivoluzione che nel 1906 sconvolse Cagliari e la Sardegna. Attraverso diverse testimonianze ci siamo resi conto che il punto di partenza prima di entrare in fabbrica era spesso la povertà. Situazioni difficili che portavano anche le donne del tempo a rimboccarsi le maniche e lavorare per mantenere la famiglia.
Da qui l’idea di portare le lavoratrici della fabbrica in giro per i quartieri popolari. Nelle periferie di oggi, che non sono geograficamente le stesse della prima parte del ‘900, ma tengono lo stesso carattere e stile: con i mercati e le donne cariche di buste della spesa, i gruppi di uomini fuori dai bar e le voci sguaiate che echeggiano nelle vie, i bambini che giocano a pallone nelle piazze e gli spazi di campagna a segnalare la fine o l’inizio della città. Quartieri generalmente poveri e spesso trascurati, ma anche ricchi di genuinità e ironia dove la sigaraia e le sue colleghe troveranno l’ambiente giusto per rivivere con i loro movimenti e le loro storie».
La sigaraia e le sue colleghe appaiono quando meno te l’aspetti e portano con sé un’atmosfera dei primi del ‘900. Saranno i loro costumi o la scia di musica che fuoriesce non si sa da dove, saranno le loro gestualità o il loro modo di parlare, saranno quegli sguardi e quel modo di guardare le cose, che ci appaiono come fuori dal tempo e dallo spazio.
Poi però ci sono dei momenti in cui le vediamo all’opera con movimenti quotidiani, come fare la spesa o dialogare con un passante, e tutto diventa “naturale”. Sono in grado di integrarsi totalmente nella comunità sino a quasi scomparire. Ogni sigaraia, da buona popolana, può parlare la stessa lingua del popolo senza perdere mai la propria dimensione di poesia e memoria.