L’amore è indubbiamente un sentimento che vive in svariate forme: si presenta come la passione tra un uomo e una donna, la tenerezza tra una madre e un figlio, la solidarietà tra due vecchi amici… e il rapporto di crescita e insegnamento tra un allievo e il suo maestro.
È proprio su quest’ultima incarnazione dell’emozione che la scrittrice Michela Murgia pone le basi del suo ultimo romanzo intitolato Chirù (edito da Einaudi): intricata storia d’amore tra un uomo e una donna, ben lontana dagli stereotipi narrativi che hanno accompagnato questo genere letterario lungo gli anni (il discostamento dalla classicità lo si evince già dai capitoli, qua sostituiti con “lezioni”). Non c’è sesso, non c’è erotismo, ma solo la genuina voglia di imparare e di insegnare, di mettere a confronto due generazioni, il tutto illustrato da una narrazione tagliente e schietta che ci mostra due personaggi tanto tormentati quanto simili.
Eleonora è una trentottenne attrice di teatro, stanca, disillusa, dal passato turbolento e dalla vita burrascosa (il padre violento, la madre sottomessa, una costante sofferenza interna che metterà a dura prova anche il suo rapporto con altri uomini). Chirù invece ha diciotto anni, la leggerezza dei suoi anni ricorda il volo di un passero, così come il suo nome, ma ciò che lo caratterizza è la sua innata capacità col violino, suonato non tanto per passione, quanto per imposizione degli aristocratici genitori di un hobby adatto a ricoprire e rafforzare il suo ruolo sociale, un passatempo presto diventato lavoro per un ragazzo che si sente solo e abbandonato dalla sua stessa famiglia.
Sarà proprio questo senso di lontananza da tutto ciò che lo circonda che spingerà lo sfrontato musicista a presentarsi ad Eleonora e chiedere a quest’ultima alcune lezioni. Ma cosa può imparare un musicista da un’attrice? L’arte del saper vivere. È questo che Chirù vuole disperatamente conoscere, ed è questo che Eleonora, non senza qualche titubanza, gli fornirà.
L’autrice Michela Murgia (Cabras, 1972) si afferma immediatamente nel panorama letterario sardo con importanti opere quali Il mondo deve sapere e Presente, ma è con il pluripremiato romanzo Accabadora (vincitore del premio Dessì nel 2009 e l’autorevole premio Mondello nel 2010) che l’artista raggiunge la fama nazionale e internazionale (alcune sue opere sono fonte di lettura persino in Cina e Taiwan) esportando ovunque non solo la tradizione, gli usi e i costumi sardi, ma anche, e soprattutto, la sua poetica narrativa.
La lirica Murgia, difatti, analizza con cura e grazia femminile il “passaggio del testimone”, mostrando come gli antichi riti di passaggio, seppur modernizzati ed evoluti, ancora vivano e siano presenti nella nostra società (L’Accabbadora inizierà la figlia al suo “mestiere”, così come Eleonora trasmetterà il suo sapere di vita al giovane violinista).
Ma Michela Murgia è anche sperimentazione letteraria: l’esempio più lampante è dimostrato proprio nella sua ultima fatica, “Chirù”, infatti non si presenta solo come un romanzo, ma anche come pagina Facebook in cui l’autrice permette al giovane artista di prendere vita e rispondere direttamente ai lettori, raccontando in prima persona la propria giornata con Eleonora, i problemi tipici adolescenziali, i dilemmi musicali, presentando ai cultori “l’altra faccia del romanzo” (l’intero libro è infatti narrato secondo il punto di vista dell’attrice) che procede di pari passo con le tempistiche dell’opera principale, esponendo, di fatto, due libri diversi con una storia in comune.
Grazie all’organizzazione Lìberos, alla Soprintendenza Archeologica della Sardegna, in collaborazione con il Circolo turritano dei lettori “L’isola dei senza colore”, l’8 marzo (in occasione della Festa della donna), la scrittrice ha potuto presentare la sua importante creazione al pubblico presente, in una suggestiva location d’altri tempi: il museo Archeologico nazionale Antiquarium Turritano, una scenografia che lei stessa ha definito “metafora delle macerie dell’anima”, chiarendo i dubbi dei lettori, e rispondendo alle loro curiosità.
Chirù è un libro che scava nell’anima e nella mente, un’opera che riesce ad immedesimare il lettore anche in vite così distanti e particolari evidenziando un dolore, che per motivi diversi, ognuno ha inciso nel proprio Io.
“Io Chirú lo riconobbi dall’odore di cose marcite che gli veniva
da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio.”