Nicola Virdis, si definisce un 38enne sassarese balbuziente, figlio unico di un ex tranviere e di un’estetista. Alto, magro, timido, sempre socievole, che ama stare al centro dell’attenzione.
Il tuo personaggio vive gli anni 80, da dove nasce?
Io sono dell’82, ma sono sempre stato in mezzo a musicassette e vinili, a casa di nonna erano sempre presenti. Il Commodore 64, i videogiochi, poi il walkman, sdoppiavo e registravo. Il lettore cd poi mi ha sempre appassionato, ascoltavo tutta la musica anni 80.
Come ti sei appassionato al Circo e alla giocoleria?
Per caso a 16 anni grazie a mio zio Michele. Lui mi ha insegnato tanto, la pesca, la fionda e anche la giocoleria. Provavo con qualsiasi cosa poi ho comprato delle vere palline da 12mila lire l’una. A scuola alla ricreazione facevo girare mandarini, gomme, astucci, anche tre Nokia 3310. Il circo poi mi ha sempre appassionato per la sua storia.
Quali sono stati i tuoi esordi?
Mi allenavo al parco di Via Venezia a Sassari con dei ragazzi, uno di questi mi chiese di sostituirlo in uno spettacolino in piazza. Avevo una felpa gialla e le clave ma ricordo di essermi divertito tanto con i bambini. Dopo ho creato la compagnia Otto e Smilzo che dopo un anno è diventata Otto, Borlotto e Smilzo, ci chiamavano per le feste di compleanno.
Da Smilzo a Italia’s Got Talent, com’è andata?
Smilzo è diventato un volontario con VIP Italia onlus (Clown Ospedalieri) e poi formatore nazionale per parecchi anni. Qualche stagione turistica e la scuola di circo dove ho iniziato a mettere le basi per il nerd. Lavoravo in abito con musica e giocoleria, il maglioncino è nato nel 2009, ma non questo rosso che è arrivato con “Quello che i nerd non dicono” in collaborazione con Bruno Furnari e Gigi Saronni (autori di Zelig). Vari anni dopo, la proposta per Italia’s Got Talent. Ho fatto un video, l’ho mandato: audizione, semifinali col golden buzzer di Lodovica Comello e terzo posto in finale.
Sassarese di nascita ma piemontese di adozione, cosa ti lega a Torino?
Avevo provato con l’Università, più per babbo e mamma che per me ma poi hanno supportato la scelta della scuola di circo e sono partito per Torino. Anche se il clima è totalmente diverso, mi ha rapito. É una città che offre molto: due scuole di circo, scuole di teatro, musica.
Ho vissuto lì sei anni, ho conosciuto mia moglie durante un laboratorio con un’associazione, lei faceva la trampoliera, sono rientrato in Sardegna ma da tre anni siamo a Torino. Abbiamo due bambine fantastiche che hanno sempre sguazzato in mezzo agli spettacoli.
“Non importa ciò che fai ma come lo fai” cosa significa?
È una frase di Vlady Rossi. Ho imparato da lui tantissimo nel tirocinio col Circo Ringland, doveva durare un mese ma poi sono diventati tre. Dopo due giorni mi ha mandato in pista dicendomi “Entra, fai qualcosa, guardali, fermati, loro applaudiranno perché non sanno cosa farai, sorridi”. Questa frase l’ho fatta mia e davvero mi appartiene.
5 milioni di visualizzazioni, la “turn around” challenge, un sogno?
Non credevo. Ho ricevuto un’infinità di video assurdi, dal judoka in gara a quelli fissi in rotatoria, bambini, cani, una foca… non mi aspettavo una cosa del genere. Il turn around nel mio spettacolo è importante, significa “girati attorno guarda ciò che hai fatto nella vita, sicuramente cose bellissime, devi solo cercarle”.
Ti sei sempre dedicato al volontariato, è importante riuscire a far ridere?
Iniziando in un modo così bello come il clown è stato facile, ho fatto volontariato in reparti ospedalieri particolari comunicando solo attraverso un microfono. Cerchi di far ridere in modo diverso. Sono stato in Romania, ho lavorato in carcere, in case famiglia, in Libano scortato dall’esercito con una ONG, in Cambogia con
un progetto di recupero di bambini dalle bidonville. Far ridere non è facile, il primo che si deve divertire sei tu perché se chi guarda vede che ridi per primo si crea un rapporto particolare.
Al tuo Nerd non servono troppe parole, ricorda i comici del cinema muto. A chi ti ispiri?
È vero, ricorda i vecchi comici del cinema muto, infatti, i miei miti sono Stanlio e Ollio, Buster Keaton e Charlie Chaplin ma non mi ispiro a nessuno. É un mix di varie cose. Il mio personaggio piace a bambini e adulti, è un viaggio che non ti aspetti, che commuove e fa riflettere: il nastro che si inceppa, la penna bic, ricordi bellissimi che riaffiorano.
I tuoi spettacoli non sono mai uguali, è importante l’interazione con il pubblico?
“Quello che i nerd non dicono” ha una trama teatrale, mentre in “Nerd compilation” il pubblico sceglie lo sketch facendomi pescare da alcune scatole. È molto importante l’interazione, guardarli negli occhi, trasmettere energia e sensazioni, tutto ciò che serve per fare spettacolo.
Come ti vedi nel tuo futuro?
Mi vedo in giro, in tutta Europa e non solo. Dopo il talent in Germania, in Spagna (semifinale) e un programma comico rumeno, ora c’è quello in Francia e poi un altro progetto, ma non posso dire niente. Recentemente poi, il Nerd è diventato una pigotta per l’Unicef, acquistandola presso [email protected] si contribuirà alla sopravvivenza e all’istruzione dell’infanzia più povera.