Testi di canzoni e poesie destinati a lasciare il segno e a mantenere vive la cultura, le tradizioni popolari e, soprattutto, il catalano di Alghero, ormai riconosciuto tra le lingue certificate d’Europa.
Questo è l’impegno che Antonello Colledanchise, algherese doc, professore e preside di liceo in pensione, attualmente psicoterapeuta, porta avanti da ben cinquant’anni.
«Mia madre mi raccontava sempre che già all’età di due anni cantavo inventando canzoncine in italiano – narra il cantautore -. Sono cresciuto in una famiglia bilingue, mia madre parlava l’algherese e mio padre l’italiano, così, fino al liceo classico, scrissi canzoni in italiano, soprattutto per gruppi musicali presenti allora ad Alghero. Fu solo nel 1972, quando fui invitato a partecipare al primo Festival della canzone algherese, che mi cimentai per la prima volta nella scrittura di una canzone nel catalano di Alghero, dal titolo “Alabama”. Si trattava di un testo che parlava della pace nel mondo e che ebbe un bel successo giovanile. Da allora non mi sono più fermato».
L’ispirazione proveniva dai cantautori dell’epoca, in particolare da Bob Dylan e, soprattutto, da Fabrizio De Andrè, il mito di Colledanchise, che riuscì ad incontrare in occasione del primo concerto che Faber tenne in Sardegna, a Sassari, nel 1975. «Ricordo che andai timidamente a trovarlo dietro le quinte. Gli raccontai che avevo tradotto in algherese “La canzone di Marinella”, così lui prese subito una chitarra e mi chiese di fargliela sentire. Quando gliela cantai rimase favorevolmente colpito e mi strinse la mano per complimentarsi. Quell’incontro mi diede l’input per continuare su quella strada».


Da lì in poi fu un continuo susseguirsi di collaborazioni con numerosi artisti, produzioni discografiche e composizioni di poesie, di cui l’ex preside ha pubblicato ben due libri: “Poesies i Cançons” (Edes, 2012) e “De amor encara” (Nemapress, 2022). Nel 2022 è uscito il suo ottavo album, “Live in BarnaSants”, mentre entro l’autunno uscirà il nono, “Bon viatge”, che rappresenterà il suo passaggio ad uno stile musicale più moderno, con ritmi swing e jazz, grazie alla frequentazione con nuovi musicisti. Ma in evoluzione sono anche gli argomenti delle composizioni dell’artista: «Mi è sempre piaciuto coltivare la poesia, quindi il testo. Le canzoni algheresi, per tradizione, parlavano della città di Alghero oppure di amore. Io nei miei testi ho sempre cercato di trascendere questa tradizione per affrontare argomenti sociali, ma non solo. Da ragazzo mi piaceva fare il Bob Dylan della situazione, cercare la pace nel mondo attraverso la musica, poi con gli anni ho trattato tematiche più esistenziali, più intime, come il modo di concepire la vita e le relazioni umane, compreso l’amore».
Si calcola che ad Alghero siano rimaste tra le 12 e le 15mila persone che parlano il catalano, ma il compositore da decenni si prodiga affinché questo patrimonio linguistico non vada del tutto perduto, e non solo attraverso i suoi testi. «Dal 1978 faccio gratuitamente opera di divulgazione nelle scuole della cultura e delle canzoni in lingua algherese. Nel 1995 avevo anche creato un gruppo, “Panta Rei”, a cui aderivano ragazzi dai 13 ai 18 anni, e noto con piacere che alcuni di loro ancora oggi continuano a scrivere utilizzando l’algherese».
Questa dedizione ha portato Colledanchise a ricevere diversi premi e riconoscimenti, oltre a vincere numerosi concorsi a cui ha preso parte. Gli ultimi proprio nel 2022. Il Centro Studi Toniolo gli ha infatti conferito il “Premio Toniolo” per i 50 anni di attività poetico-musicale, e il sindaco di Alghero gli ha assegnato una targa istituzionale per la carriera poetico-musicale e per l’impegno profuso nella tutela della lingua algherese. Infine, il 21 febbraio 2023, in occasione della Giornata internazionale della lingua madre, alla Camera dei Deputati gli è stato attribuito il “Premio Internazionale Tacita Muta per le lingue minoritarie”.

Eppure, per il cantautore le vere soddisfazioni sono altre. «Ho compiuto 50 anni di carriera ma io, scherzosamente, dico che ho compiuto 50 anni di vita perché la poesia e la musica sono la mia vita. Pur non avendo mai dedicato del tempo alla pubblicità, sono stato chiamato a cantare le mie canzoni in Catalogna, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia e Brasile. Nonostante abbia vinto diversi premi, la soddisfazione più grande la provo quando le persone mi fermano per strada per dirmi che gli è piaciuta una mia canzone oppure per chiedermi il titolo di una canzone di tanti anni fa che quasi non ricordo più nemmeno io. Questo significa che il lavoro che ho fatto viene riconosciuto dalla gente».
E su quale sia la composizione che più gli è rimasta nel cuore, l’artista non ha dubbi: «Le canzoni sono come i figli, si amano tutte, anche se forse l’ultima è sempre quella più rappresentativa della vita attuale. Le canzoni del passato le riconosco per il ragazzo che ero allora, sono una sorta di diario poetico».
Attualmente Antonello Colledanchise si esibisce sia in duo con Susanna Carboni di Macomer (voce, clarinetto), sia in quartetto con Raffaele Podda di Cagliari (fisarmonica) e Riccardo Moni (chitarra).