L’attesa è cominciata lo scorso gennaio, quando con un teaser trailer di grande effetto gli Amazon Studios hanno svelato il titolo della serie tratta dall’opera di John Ronald Reuel Tolkien, i cui primi due episodi, diretti da J.A. Bayona, sono disponibili da oggi su Prime Video: “Gli Anelli del Potere” è in assoluto lo show a puntate -8 in tutto, che andranno in onda ogni venerdì fino al 14 ottobre– più costoso della storia, con un budget di 465 milioni di dollari, a cui si aggiungono i 250 milioni spesi per acquisire i diritti televisivi; considerando che sono già state pianificate 5 stagioni, il progetto supererà abbondantemente il miliardo.
Già prima del titolo, qualche rivelazione era stata rilasciata relativamente ai luoghi della Terra di Mezzo in cui si sarebbe svolta la storia, perciò è da circa un anno, ormai, che i lettori di Tolkien e gli appassionati della saga cinematografica de “Il Signore degli Anelli” firmata da Peter Jackson attendono di tornare a viaggiare in terre familiari, tra popoli ben noti, con la speranza di non restare delusi: pur con la garanzia di un budget tanto elevato, infatti, ogni indizio, ogni fotografia e trailer, che nel corso dei mesi ha svelato dettagli sempre più precisi sulla serie, è stato accompagnato da reazioni eclatanti, in positivo e, forse, ancor più in negativo, a dimostrazione di quanto preziosa sia la materia letteraria su cui gli showrunner J.D. Payne e Patrick McKay hanno lavorato.
“Gli Anelli del Potere” infatti, ambientato nella Seconda Era della Terra di Mezzo (circa 5000 anni prima della trilogia letteraria e cinematografica), trae ispirazione e rielabora alcune delle narrazioni de Il Silmarillion, le Appendici de Il Signore degli Anelli e le raccolte di Racconti di Tolkien, ma su di esse innesta anche nuove linee narrative e personaggi, creati appositamente per la serie; le esigenze di un linguaggio diverso da quello letterario rendono infatti quasi inevitabili dei cambiamenti, affinché l’adattamento possa essere efficace.
Anche da un punto di vista cronologico, dunque, è stato necessario comprimere le tempistiche di alcuni eventi: la voce dell’elfa Galadriel (Morfydd Clark) introduce il pubblico a un’era lontana “in cui il mondo era talmente giovane che non esisteva ancora il levar del sole, ma perfino allora c’era la luce”, facendo riferimento ai meravigliosi alberi Telperion e Laurelin, da cui si originarono la Luna e il Sole; l’immagine richiama la Galadriel cinematografica, ma subito la serie se ne discosta, mostrandoci un’elfa guerriera, temprata dalle battaglie e dal dolore per la perdita del fratello Finrod. C’è un nemico dormiente, infatti, che ordisce subdole trame nell’ombra e che mira a conquistare la Terra di Mezzo, impadronendosi dei regni che vi prosperano e sfruttando le debolezze dei popoli che la abitano -Elfi, Nani e Uomini-, la loro vanità e avidità.
Così vengono forgiati gli Anelli del Potere, gli strumenti attraverso cui Sauron intende dominare i suoi avversari: sotto le spoglie di Annatar egli insegna ai fabbri elfici guidati da Celebrimbor (Charles Edwards) a forgiare degli splendidi anelli, che col tempo si riveleranno sottomessi al potere dell’Unico Anello.
Attorno a questa trama principale, che conduce inevitabilmente alla guerra e all’ultima -almeno per questa Era- alleanza tra Elfi, Uomini e Nani, ruotano le vicende di numerosi personaggi, alcuni già noti agli appassionati del mondo tolkieniano, come Gil-galad (Benjamin Walker), re degli elfi di Lindon, e il mezz’elfo Elrond (Robert Aramayo), Durin III (Peter Mullan), re della città di Nani di Khazad-dûm, e suo figlio, il principe Durin IV (Owain Arthur), Míriel (Cynthia Addai-Robinson), regina di Númenor, Elendil (Lloyd Owen) e suo figlio Isildur (Maxim Baldry), nobili numenoreani.
Tra i personaggi creati per la serie, invece, spiccano Halbrand (Charlie Vickers), un uomo misterioso che incrocia la sua strada con Galadriel, Arondir (Ismael Cruz Córdova), elfo silvano, e Bronwyn (Nazanin Boniadi) donna guaritrice; discorso a parte meritano gli hobbit: nella Seconda Era non dovrebbero ancora trovarsi nella Terra di Mezzo, ma gli showrunner hanno scelto di inserire nello show la tribù dei Pelopiedi (Harfoots) mostrandoli come un popolo nomade, dedito alla pastorizia. Conosciamo così, tra tanti, Elanor Brandyfoot (Markella Kavenagh) e Sadoc Burrows (Lenny Henry), passato alla storia, tra numerose polemiche, come il primo hobbit di colore; scorrendo le foto del cast, risulta evidente la scelta multiculturale della produzione, con buona pace di una parte del fandom che si sforza di dimostrare quanto sia filologicamente errata la scelta di coinvolgere etnie diverse, asiatiche e māori per esempio, nel progetto.
Di certo il mondo tratteggiato nella serie è vasto e variegato, così come quello creato da J.R.R. Tolkien e, altrettanto certamente, vuole richiamare la nostra società, che aspira a essere inclusiva; così, d’altra parte, a metà del 20° secolo le pagine immortali di Tolkien erano il riflesso del secondo conflitto mondiale, della battaglia contro l’ultimo nemico comune che la storia avesse consegnato al mondo: in questo dettaglio, nella realtà che emerge “in trasparenza”, per usare le parole di Tolkien, risiede forse il più importante requisito da rispettare per un adattamento che sia intrinsecamente fedele alle fonti d’ispirazione.
Non resta dunque che lasciarsi trasportare, senza preconcetti, nella Terra di Mezzo dalla colonna sonora dei compositori Howard Shore, autore del tema principale, e Bear McCreary e seguire Galadriel -una nuova, sfaccettata protagonista femminile- nel suo epico viaggio.