Diceva Umberto Eco: “Chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge, avrà vissuto cinquemila anni.”
È facile pensare che per chi scrive sia la stessa cosa, con racconti di vite intrecciate a volte ben lontane dalla propria; ma c’è anche chi scrive di sé, e di sé soltanto, ché la vita è già abbastanza complessa da sembrare un libro e quando ben raccontata difatti lo diviene.
È successo nella casa di reclusione ad alta sicurezza “Paolo Pittalis” di Nuchis (OT) grazie al laboratorio di scrittura creativa tenuto per il sesto anno dal giornalista ed editore sassarese Giovanni Gelsomino, che ha guidato i detenuti nel dare struttura letteraria formale alle emozioni figlie della loro parentesi di vita, per raccogliere poi le testimonianze nel volume La luna del pomeriggio (edito da “Il carcere con le ali”) dando spazio a tematiche importanti di cui non si parla spesso come il primo arresto, il trasferimento da un istituto a un altro, i rapporti moglie-marito e padre-figlio.
E proprio a un rapporto padre-figlio dobbiamo la trasposizione teatrale del libro: Simone Gelsomino infatti, laureando all’Accademia delle Belle Arti di Urbino e da tempo impegnato nell’ambito scenico, coadiuvato da Luisanna Cuccuru sceglie di portare l’attenzione su quei frammenti testuali, utilizzando dunque alcuni vissuti per parlare di ciò che è invece comune a tutti noi.
La complessità dell’universo carcerario è difatti molto più ampia di quello che normalmente si pensa: oltre agli ospiti, e ovviamente il personale in struttura, vengono coinvolte famiglie, professionisti, e talvolta, come ora, artisti. Tale realtà diventa allora un mezzo per allargare la visione e riflettere sulle limitazioni che la vita (o la società?) ci impone, obbligandoci a fare i conti con le difficoltà ad esprimere il proprio vero io e inseguirne la realizzazione. Dice Simone: “Nella vita tutti hanno ragione e di conseguenza nessuno ha ragione, e Luca Ronconi diceva: fare teatro per me significa sostenere che la verità non esiste da nessuna parte.”
Lo spettacolo si snoda quindi attraverso diciotto scene indipendenti, blocchi chiusi legati solo in profondità da fili sottilissimi in una narrazione sine tempore, senza tempo, che pone l’accento su eccessi talvolta grotteschi e surreali dei discorsi e delle situazioni presentate. I numerosi attori che fisicamente danno voce agli intenti della produzione arrivano da percorsi artistici diversi, dai 7 in valigia fino ad arrivare a Carlo Valle, passando per Paco Mustela ed altri professionisti slegati da compagnie, così da assicurare allo spettacolo un buon background esperienziale.
A sostegno dell’aspetto sociale del progetto, per quattro martedì di settembre a Sassari si è potuto partecipare a I Circuiti de La luna del pomeriggio, incontri nati dalla precisa esigenza dei curatori di approfondire con esperti le tematiche più complesse lasciate sospese per esigenze narrative: dott. Donato Posadinu, primario di psichiatria di Sassari; dott. Gregorio Salis, psicologo del SERD di Sassari; Padre Salvatore Morittu, fondatore dell’associazione Mondo X che nelle sedi di Sassari e Cagliari si occupa di risolvere dipendenze comportamentali o da sostanze psicotrope; prof. Mario Dossoni, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Sassari e Barbara Tetti, Presidente del MOS.
Il progetto non ha coinvolto solo la realtà sassarese: per la sua realizzazione sono state richiamate anche maestranze artistiche dallo Stivale (costumisti da Lazio e Abruzzo, fondali dalla Scuola di Scenografia di Urbino, musiche originali registrate al Conservatorio di Como) mettendo in moto interessanti collaborazioni.
Realizzare il progetto non è stato facile, ci spiega Simone: “La difficoltà è arrivata nel momento in cui si è deciso di slegarsi dalla figura del carcerato per aprirsi a una realtà nella quale entrassero famiglia, amici, passato e presente senza troppa distinzione – presentando scene quasi sempre dall’apparenza onirica – e riproporre situazioni normali (vedi incontri familiari) in modo del tutto anormale; momenti dove non si dice quello che si pensa davvero, perché in carcere anche la parola è prigioniera e lo è anche il pensiero. Alla fine è uno spettacolo su noi stessi, dove il carcerato è usato come metafora: ognuno di noi vive in prigioni, auto-create o imposte dalla società; la prigione fisica, come struttura, non è l’unico carcere.”
Sul perché abbiano deciso di portare in scena questo spettacolo ci risponde Luisanna: “Per noi è un’urgenza espressiva in un periodo storico che necessita di avvicinare il pubblico a una realtà avvertita come diversa. L’educazione alla diversità è difficile e controversa, perché implica il confronto e il dialogo con persone, luoghi e circostanze che paiono troppo lontane per essere comprese. È un’educazione che parte da noi stessi, un’autoeducazione, che vuole abbracciare il maggior numero di persone. Per avere consenso è molto più facile cavalcare l’onda del sentimento di diffidenza verso la diversità. Per questo è importante remare in direzione opposta, riflettere, ascoltare, capire. L’obiettivo è proprio questo: mettere nelle condizioni favorevoli al confronto. Avere la possibilità di farlo ci fa sentire estremamente grati.”
La Prima ufficiale sarà il 24 ottobre al Teatro Verdi di Sassari con anteprima per universitari il 23 e matinée per le scuole superiori il 24. Seguendoli sulla pagina Facebook @lalunadelpomeriggio si possono vedere foto della costruzione dello spettacolo ed avere maggiori informazioni per il botteghino.
L’alternativa di vita, la salvezza e il riscatto vero e proprio, sono forniti dalla cultura, chiosa Simone.
E questa, ci pare una verità incontrovertibile.