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Oreste Pili. Chi si batte per la Sardegna non muore mai!

di Sara Cardia
22 Aprile 2018
in People, Storia
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Era il 2009 quando incontrai per la prima volta Oreste Pili. Avevo 16 anni e partecipavo come guida alla manifestazione “Monumenti Aperti” presso la torre costiera di Su Loi, a Capoterra. Avevo illustrato per tutto il giorno la storia del sito a diversi gruppi di più o meno curiosi, fino a quando i professori tacquero per il suo arrivo. Assessore comunale all’urbanistica e alla lingua sarda, capoterrese doc, professore di tedesco al liceo classico di Villacidro, e figura di spicco per i suoi importanti studi di sardistica, tanto acclamati quanto contestati negli atenei, Oreste Pili amava la cultura della sua isola, e poco importava se a raccontarla era una voce imperfetta e talvolta esitante come la mia, carica di nervosismo e soggezione. Infatti, non è solo per le vittorie che si viene ricordati, ma anche e soprattutto per le sconfitte e i tentativi, come ci dimostra la sua vita di battaglie, che, vinte o meno, resteranno pur sempre eterne.

La prima tra queste è quella contro la giustizia nel 1979, quando viene condannato a tre anni e quattro mesi per la sua militanza nel Partito Sardo d’Azione e complicità di un presunto complotto separatista. Pili il “Pacifista”, un’allitterazione che non è affatto una coincidenza, ma quasi un secondo nome di battesimo, la caratteristica per cui era conosciuto e stimato da tutti – insieme al suo impegno e la sua dedizione in politica sin da giovane – e che stonava inevitabilmente con quella famosa sentenza.

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La seconda, quella per la cultura, viene portata avanti fino alla fine, all’insegna di uno studio ben lontano dal mero accademismo e una passione senza confini. Il sardofono per eccellenza viene ricordato con profondo affetto dagli alunni ammaliati dalla sua parlata fluida e sicura, e con gratitudine dalla sua terra per aver contribuito a restituire dignità alla lingua sarda e forma e struttura a una delle sue varianti grazie alla redazione a più mani delle Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda, adottate nel 2010 dal Consiglio Provinciale di Cagliari. Una lotta che parlava sardo per far sì che i sardi parlassero, capissero, pensassero sardo, come a sintonizzarsi sulla sua stessa lunghezza d’onda in merito a valorizzazione, promozione, istruzione, urbanistica e linguistica.

La terza e ultima, quella contro il cancro, era forse persa in partenza o vinta a mani basse, perché i grandi sardi non possono mica morire nell’isola eterna, perché chi parla e scrive in sardo per i sardi non muore mai. Is fradis, unica e ultima sua opera, resterà, così come il patrimonio delle “Arregulas”, per renderci custodi dei suoi moniti (“ogni limba in logu suo; s’italiana in Italia e sa sarda in Sardigna. Bois istudiades a Manzoni, Pascoli e D’Annunzio e nois a Lobina, Peppinu Mereu e Montanaru”), con quel rock importato e ospitato – in tutti i sensi – nella sua Capoterra a fare da colonna sonora.

Chissà quante altre battaglie aveva combattuto, silenziose e dignitose come la sua lingua, e chissà quante ancora dovremo combatterne noi affinché il suo impegno non sia stato vano, contro chi continuerà a considerare il frutto di quell’immensa collaborazione linguistica scientificamente irrilevante e affermare che la sua condanna non era stata abbastanza severa, vedendolo sempre e solo come l’indipendentista che si è re-inventato sardista e accademico. Quale che sia la sentenza di questa bilancia sociale, chi lo conosceva poco – come me – menziona la sua immensa cultura, mai ostentata e sempre al servizio della comunità, chi lo conosceva bene lo loda, sempre in sardo, per la sua pacatezza e ostinazione, e chi non lo conosceva per nulla – magari dopo aver letto i suoi interventi o ascoltato una sua intervista – non può che affermare che invece non c’è stata alcuna vittoria né sconfitta, perché non c’è stata alcuna battaglia. Oreste Pili, semplicemente, ha restituito ai sardi la voce che avevano perduto o che avevano dimenticato di avere.

Tags: Capoterralingua sardaSardegna
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  • 🗝️ Non solo un mobile, ma un simbolo di memoria collettiva. In Sardegna, sa cascia� rappresenta il cuore della casa: cassapanca antica, scrigno di corredi e di storie tramandate per generazioni. 
Le sue origini risalgono all’età nuragica, come testimonia un piccolo bronzetto custodito al Museo Archeologico di Cagliari, che riproduce un cofanetto su ruote, antesignano della cassapanca sarda. 
✨ Realizzata in legno di castagno, noce o rovere, finemente intagliata e decorata con motivi simbolici come la pavoncella o il sole, sa cascia� è oggi un ponte tra passato e presente. Un capolavoro che racconta la storia, l’identità e l’arte di un’isola in cui la tradizione continua a vivere nel segno dell’eleganza. 
📰 Leggi l’articolo completo di Raffaella Piras su SHmag.it  📷 Sardegna Artigianato |  Pierluigi Dessì Confinivisivi
  • 🎶 Pochi generi musicali hanno rappresentato così bene un’epoca come il Concerto Grosso, nato tra XVII e XVIII secolo e fondato sul dialogo tra solisti e orchestra. Ma la sua storia non si è esaurita con il Barocco: nei secoli successivi ha conosciuto sorprendenti rinascite, contaminazioni e reinvenzioni, arrivando persino a intrecciarsi con il rock. 
🎭 È proprio a questa straordinaria vitalità che la Cooperativa @teatroeomusica dedica la nuova edizione dei Salotti culturali del Teatro Verdi di Sassari. Quattro appuntamenti, dal 9 ottobre al 5 novembre, porteranno sul palco capolavori di Corelli, Stradella, Bach, Händel, fino alle riletture di Bloch, Bacalov e Schnittke, mostrando come un genere nato più di tre secoli fa riesca ancora a parlare al presente. 
Ogni concerto sarà introdotto da autorevoli voci della critica musicale – Andrea Ivaldi, Antonio Ligios, Maurizio Salvi e Sandro Cappelletto – che guideranno il pubblico nell’ascolto, insieme alla Teatro Verdi Chamber Orchestra e agli ospiti solisti. 🎻 
📰 Scopri di più sulla rassegna, tutti i dettagli sono nell’articolo completo su SHmag.it
  • 🦉🌙 Tra rapace notturno e strega, “Sa Stria” attraversa i secoli della tradizione sarda con un profilo ambiguo: presagi, cure popolari, paure collettive e un lessico di gesti codificati nel tempo. 
👁️‍🗨️ Le prime tracce affiorano già in età romana; nell’isola, la creatura entra nella cronaca orale: un verso acuto come avvertimento, lo sputo rituale per scongiurare la sventura, l’ombra sui tetti dei villaggi di pietra. 
🧵☕️ Attorno a lei ruotano diagnosi e protezioni: la “Sa Striadura”, il filo da imbastire che confronta apertura delle braccia e statura, le piume ridotte in cenere mescolate al caffè, il fumo che accenna una croce sul malato all’ultimo quarto di luna. 🌘 
🌸 Tra Gallura e Sassarese, la leggenda converge sulla donna-strega: unguenti di peonia, trance, metamorfosi, voli notturni che traducono l’inspiegabile in rito e linguaggio condiviso, tra brebus e antiche paure del malocchio. 🧿 
Un mosaico di mistero e memoria, dove la comunità tenta di ordinare l’ignoto con narrazioni, simboli e piccoli gesti apotropaici. Ce ne parla Chiara Medinas: l’articolo completo continua sul nostro sito web SHmag.it 👆🏻
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