Esattamente trent’anni fa un forte boato spezzò la tranquillità di un afoso pomeriggio palermitano. A neanche due mesi dalla strage di Capaci, quando l’Italia intera era ancora sconvolta per il massacro costato la vita al magistrato antimafia Giovanni Falcone, la mafia tornò a colpire uccidendo un altro pilastro della lotta contro la mafia: Paolo Borsellino. Oggi l’Italia intera si ferma ancora una volta per ricordare il giudice che ha dato la sua vita per la giustizia. Ma chi era Borsellino?
Il futuro magistrato nasce a Palermo il 19 gennaio del 1940 nell’antico quartiere della Kalsa. Frequenta il Liceo Classico “Meli” e poi si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo. All’età di 22 anni si laurea con il massimo dei voti. Pochi giorni dopo essersi laureato subisce la perdita del padre e si prende la responsabilità di provvedere alla famiglia. Svolge diversi lavoretti e nel mentre studia per il concorso in magistratura che supera nel 1963. Solo quattro anni dopo ottiene il primo incarico direttivo come Pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 viene trasferito a Monreale e poi nel 1975 al tribunale di Palermo. È qui che inizia la sua grande battaglia contro l’organizzazione mafiosa. Cinque anni dopo fa arrestare i primi sei mafiosi e, di conseguenza, arriva per la sua famiglia la prima scorta.
È Borsellino, insieme a Falcone, a formare il famoso “maxi processo” di Palermo, in seguito alle rivelazioni del pentito di mafia Tommaso Buscetta. L’udienza, che si svolse il 16 dicembre 1987 nell’aula bunker dell’Ucciardone, portò ad una storica sentenza: ben 342 condanne. Segnando così un passaggio epocale nella lotta all’organizzazione mafiosa.
Il giudice aveva capito di avere le ore contate: “Devo sbrigarmi, non ho più tempo”, ripeteva da quel 23 maggio del 1992. Cioè dal giorno in cui Falcone venne fatto saltare in aria insieme alla moglie Francesca Morvillo e i membri della scorta. Nel suo ultimo giorno di vita, il 19 luglio dello stesso anno, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, si recò in via D’Amelio insieme alla sua scorta per fare visita alla madre. Il magistrato scese dall’auto e si diresse verso il citofono, fece appena in tempo a suonare che due minuti prima delle 17 venne innescato l’attacco mafioso: una Fiat 126 imbottita di tritolo e parcheggiata nei pressi dell’abitazione esplose. Il boato venne avvertito in gran parte della città e una nube di fumo rese tutto confuso, al punto che qualcuno (ancora non si sa chi) riuscì ad appropriarsi dell’agenda rossa sulla quale Borsellino era solito annotare appunti e riflessioni sulle indagini, e la fece sparire.
L’autobomba uccise anche i cinque agenti della scorta: la sarda Emanuela Loi, 24 anni, prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetti alle scorte; Vincenzo Li Muli, soli 22; Agostino Catalano, 42 anni; Claudio Traina, 27 anni; e Walter Eddie Cosina, 31 anni. Unico sopravvissuto Antonino Vullo, salvo perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
I funerali di Borsellino si tennero il 24 luglio in forma privata, perché la famiglia rifiutò le esequie di Stato: la moglie Agnese, infatti, accusava il governo di non aver protetto il marito. Fu scelta una chiesa in periferia ma nonostante questo diecimila persone affollarono il selciato per dare un ultimo salute al giudice, segno della grande importanza che veniva data al suo lavoro.
Borsellino è stato una delle figure più rilevanti nella battaglia contro la mafia a livello nazionale e internazionale insieme al collega e amico Giovanni Falcone. Il legame con Falcone è rimasto nella storia, due vite che si sono intrecciate e tristemente sono finite unite dallo stesso destino. Due uomini che hanno affrontato a testa alta le difficoltà fino a quel 1992, l’anno più nero per l’antimafia.
Il magistrato resta simbolo dell’Italia che non si piega alla mafia, un uomo che ha messo la propria vita al servizio della giustizia, dall’esperienza al pool antimafia fino al maxiprocesso di Palermo. Inoltre, è stato tra i primi a capire il ruolo fondamentale dei pentiti per sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Nonostante indagini e processi, intorno all’attentato in cui Borsellino perse la vita spiccano ombre di depistaggi e misteri irrisolti, ancora non è stata scritta la verità piena. Oggi però son stati fatti molti passi in avanti sia nella lotta alla mafia che sul fronte della consapevolezza della popolazione, tutto grazie al sacrificio di coloro che per combattere la mafia hanno dato la vita.