Sono trascorsi 60 anni dalla morte di Marilyn Monroe, dalla notte tra il 4 e il 5 agosto del 1962 in cui il corpo dell’attrice è stato trovato senza vita nella sua casa di Brentwood, a Los Angeles. Nuda e bellissima, riversa sul letto con la cornetta del telefono stretta in mano e, sul comodino, i flaconi dei farmaci che quasi certamente le sono stati fatali: è questo l’epilogo di una storia costellata di successi e sofferenze, terminata nella solitudine più assoluta.
Desiderata, adorata, usata, Marilyn Monroe è stata questo e molto altro ancora, molto di più, verrebbe da dire ai tempi dell’empowerment femminile e del Me Too, così oggi il destino dell’attrice che si è confrontata per tutta la vita con il cliché della “dumb blonde” -la “bionda stupida”- e della “bomba sexy”, ferisce la sensibilità moderna, educata da anni di battaglie contro gli stereotipi di genere e l’ipersessualizzazione del corpo delle donne. Di certo, la società americana degli anni ’50 e ’60 non era pronta ad accettare una donna tanto libera e fragile, un talento istintivo, carico di insicurezze e desiderio legittimo di autodeterminarsi e affermarsi nell’industria cinematografica, diventando, prima che una “star”, una brava attrice. La meravigliosa fabbrica dei sogni di Hollywood ha restituito a Marilyn Monroe solo una parte dell’incanto regalato dalla diva al suo pubblico e non a caso questo anniversario accende i riflettori sul lato oscuro dell’immenso successo che, nel costruire il mito, ha progressivamente consumato la donna.
Lo scorso aprile è stato pubblicato su Netflix il documentario “Il mistero di Marilyn Monroe – I nastri inediti”, in cui il giornalista irlandese Anthony Summers aggiunge alla struggente biografia “Goddess, the Secret Lives of Marilyn Monroe” pubblicata nel 1985 un nuovo capitolo, attraverso la pubblicazione di registrazioni inedite effettuate durante le sue ricerche. Scopo principale del documentario è fare luce sull’ultimo periodo della vita dell’attrice: le sue condizioni psico-fisiche sono tratteggiate attraverso le voci della moglie e dei figli dello psichiatra Ralph Greenson, che aveva accolto la sua celebre paziente in seno alla famiglia, nel tentativo di colmarne le carenze affettive e arginare al contempo la sua dipendenza dai farmaci. Nel lavoro di Summers, in particolare, le circostanze della morte della Monroe vengono messe in discussione, con una ricostruzione dell’ultima notte dell’attrice che ipotizza il coinvolgimento dei servizi segreti, impegnati a cancellare dalla sua casa ogni traccia della scomoda relazione con i fratelli John e Robert Kennedy.
È in concorso alla 79ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che verrà inaugurata il 31 agosto, l’attesissimo “Blonde”, film diretto da Andrew Dominik e tratto dal romanzo omonimo di Joyce Carol Oates; a interpretare la Monroe è Ana de Armas, affiancata da Bobby Cannavale nel ruolo del giocatore di baseball Joe DiMaggio e Adrien Brody in quello del drammaturgo Arthur Miller, rispettivamente secondo e terzo marito della protagonista. Così come il libro della Oates, il film scinde il personaggio di Marilyn Monroe dalla persona reale, Norma Jeane -questo il suo vero nome-, offrendo una narrazione impietosa della creazione della “diva”, da giovane donna di umili origini, determinata ad avere successo e essere amata, a vittima di compromessi e abusi in un mondo dominato dagli uomini, da femme fatale a ingranaggio nel meccanismo perverso della fama, il cui prezzo si rivela l’autodistruzione. Negli Stati Uniti il film, che uscirà su Netflix il prossimo 28 settembre, è stato vietato ai minori di 17 anni a causa di alcune scene sessualmente esplicite.
Un ricordo più solare e glamour della diva emerge dalla mostra “Forever Marilyn by Sam Shaw – The Exhibition”, allestita fino al 18 settembre nella Palazzina di Caccia di Stupinigi di Nichelino (Torino); in esposizione un’ampia selezione di scatti in bianco e nero e a colori tratta dell’archivio del fotografo Sam Shaw, realizzati sia nei backstage di film come “Quando la moglie è in vacanza” che nel privato. Molto interessante anche la sezione dedicata ai memorabilia, proprietà del collezionista Ted Stampfer: abiti, scarpe, oggetti personali e di scena, come il ventilatore utilizzato per far fluttuare il vestito bianco della diva in uno dei ciak più famosi della storia del cinema.
Tra gli approfondimenti giornalistici realizzati per questo anniversario, spicca lo speciale del TG5 “Marilyn, la Diva” curato da Anna Praderio e disponibile gratuitamente su Mediaset Infinity: si evidenzia, in particolare, come lo stile dell’attrice sia stato un punto di riferimento per generazioni di interpreti, musiciste e modelle; dal videoclip del brano di Madonna “Material Girl” all’interpretazione di “Diamonds are a Girl’s Best Friend” di Nicole Kidman nel film “Moulin Rouge!” -entrambi ispirati al film “Gli uomini preferiscono le bionde”-, lo speciale offre un’emozionante carrellata di testimonianze che restituiscono a tutto tondo la figura della diva. Ancora, si segnala l’approfondimento “Marilyn 60 anni dopo“ curato da Federica Ginesu per Donna Moderna, in cui la storia della Monroe viene raccontata attraverso gli abiti che hanno segnato non solo la sua carriera cinematografica, ma anche alcuni momenti cruciali della sua vita personale.
Non serve ricordare che lo scorso maggio il dipinto “Shot Sage Blue Marilyn”, realizzato da Andy Warhol nel 1964, sia stato battuto all’asta da Christie’s per la cifra di 195 milioni di dollari, diventando di fatto l’opera d’arte più costosa del XX secolo, per comprendere quanto Marilyn Monroe abbia influenzato l’immaginario artistico-culturale dei nostri tempi: la speranza è che il suo talento e la sua modernità possano essere finalmente compresi e riconosciuti oltre i simboli e gli stereotipi che ne hanno segnato l’esistenza.