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Sa tuvara de arena: la sabbia della Sardegna in primavera custodisce un raro e pregiato tartufo dal gusto prelibato

L'Isola è l'unica regione italiana dove poter raccogliere il “tartufo della sabbia”, diffuso in Nord Africa e in Medio Oriente

di Raffaella Piras
19 Aprile 2022
in Food
🕓 4 MINUTI DI LETTURA
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Tartufo della sabbia. ? Adobe Stock | Stewart

? Adobe Stock | Stewart

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La sabbia è uno scrigno che racchiude tesori e sorprese infiniti.

Se si pensa alla Sardegna e alle sue lunghe distese di sabbia bianca vengono subito in mente posti incantevoli, tra i più belli in assoluto. Ma la natura spesso è molto di più di ciò che può apparire a prima vista. Tra i tanti tesori nascosti, ce ne sono alcuni custoditi proprio sotto la sabbia, e uno di questi è un pregiato e raro prodotto enogastronomico. 

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I territori dell’Isola non sono adatti solo alla coltura dei funghi, che sicuramente sono più utilizzati nella nostra cucina, ma anche a quella dei tartufi, tanto da portare alla nascita, nel 2017, dell’Associazione Tartufai della Sardegna. Le varietà che di solito vengono raccolte sono il nero pregiato, il bianchetto, il nero d’inverno o brumale e il nero estivo o scorzone, che crescono spontaneamente nei boschi e tra la macchia mediterranea, in particolare sotto i pini, i lecci, il cisto, le querce da sughero e addirittura sotto i corbezzoli.

Ma la Sardegna è l’unica regione d’Italia dove è possibile trovare anche un altro tipo di tartufo che non ha niente in comune con quelli di largo consumo, a cominciare dal fatto che non si trova sotto la terra ma, appunto, sotto la sabbia.

Proprio dal suo habitat prende il nome di tartufo della sabbia, in sardo “sa tuvara de arena”, anche se nel resto del mondo è meglio conosciuto come tartufo del deserto, “desert truffle”, perché la sua diffusione maggiore si concentra, da sempre, nelle regioni calde e desertiche del Nord Africa e del Medio Oriente. In botanica viene classificato come un fungo che appartiene alla Terfezia arenaria.

Ha origini antichissime, era già conosciuto e consumato ai tempi dei Sumeri, dei Babilonesi, degli Egizi e persino i Romani caricavano le navi che partivano dalle coste africane di questo prodotto prezioso. Veniva considerato un’importante risorsa alimentare per le popolazioni più povere di quei territori, potendo essere sostituito alla carne, inoltre gli venivano attribuite proprietà afrodisiache ed effetti medicinali.

Col trascorrere dei secoli e con l’affermarsi del consumismo, il tartufo del deserto ha iniziato ad essere sempre più presente nei mercati del mondo arabo fino ad essere considerato una vera ghiottoneria nella cucina tradizionale. Il suo prezzo si aggira intorno ai 30-40 dollari al kg, dunque è meno costoso rispetto ad altri tartufi, e viene utilizzato da molti chef soprattutto tra le verdure. Grazie alla sua versatilità viene spesso accompagnato dal riso o dalla carne, inoltre, essendo ricco anche di vitamine ed oligoelementi, è apprezzato anche dai vegani e dai vegetariani al posto del tofu. 

In Sardegna, fin dall’Ottocento, varie fonti parlano della ricerca e dell’utilizzo a fini alimentari de sa tuvara de arena. È soprattutto il litorale di Oristano ad esserne ricco, qui il tartufo della sabbia cresce durante la stagione primaverile e vive in un rapporto simbiotico con le piante di eliantemo, appartenenti alla famiglia delle cistaceae.

Terfezia arenaria

La sua struttura è stata ben descritta dalla guida gastronomica del Touring Club Italiano pubblicata nel 1931, che lo ha riconosciuto come una tipica produzione sarda: “Ha la forma globulare, il volume variante da una noce a una patata, la pelle ruvida e mascherata da uno straterello di sabbia che vi aderisce fortemente. La carne è di colore bianco-rossiccio, screziato, molle, di tenue colore quasi vinoso, di sapore neutro ma non sgradevole”. 

Altra peculiarità del tartufo della sabbia è il suo aroma, davvero lieve, ben diverso dall’odore pungente emanato dagli altri tartufi. Chi pensa dunque di poter scovare questi rari esemplari grazie all’ausilio degli infallibili cani da tartufo commetterebbe un grave errore perché il loro olfatto non riuscirebbe a percepire un profumo così tenue.

Questo particolare tipo di tartufo vive a circa 10 cm di profondità. Il sistema di ricerca efficientissimo sviluppato negli anni dai ricercatori della zona di Oristano, e tramandato di generazione in generazione, si avvale, di conseguenza, di un bastone particolare, lungo circa 130 cm, con due estremità composte da una parte da uno spillone di circa 15/20 cm, che deve essere affondato nella sabbia in modo da trasmettere alle mani dell’esperto vibrazioni e suoni tali da permettergli di capire la presenza o meno del tartufo, e dall’altra parte da una paletta con cui il cercatore, una volta trovato, non deve far altro che scavare per portarlo fuori dal terreno.

Essendo commestibili, i tartufi della sabbia sono molto apprezzati a tavola. Il loro consumo è stagionale, perciò vanno conservati in un luogo fresco ed asciutto e consumati entro poco tempo. Vengono puliti e cucinati proprio come dei funghi, sono infatti ottimi con il pesce, con la carne d’agnello, come condimento per la pasta o semplicemente accompagnati da carciofi o patate.

Tuttavia, nonostante sia molto gradito nell’oristanese, in generale si può dire che nel resto della Sardegna il consumo de sa tuvara de arena è andato costantemente a diminuire a partire dalla seconda metà del Novecento, a differenza del Medio Oriente dove è ancora ben presente nei menù dei ristoranti. Visto il suo sapore delicato e le sue proprietà nutrizionali, dovrebbe essere rivalutato anche nelle tavole sarde per evitare di perdere un simile prodotto identitario, rarità che la nostra Terra unica è in grado di donarci senza aver bisogno di doverla importare dall’altra parte del mondo e che meriterebbe, perciò, di essere tra i protagonisti dell’enogastronomia dell’Isola e non solo. 

Tags: enogastronomiaOristanosabbiatartufoTerfezia arenaria
Raffaella Piras

Raffaella Piras

“Presentalo brevemente così che possano leggerlo, chiaramente così che possano apprezzarlo, in maniera pittoresca che lo ricordino e soprattutto accuratamente, così che possano essere guidati dalla sua luce”. (Joseph Pulitzer)

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