Variegato proprio come i colori che lo contraddistinguono, il Carnevale in Sardegna è intriso di misteri, leggende, riti pagani, sfilate e maschere estremamente diverse tra loro ma in grado di rappresentare le unicità e le tradizioni ben radicate nelle varie zone dell’Isola.
Uno degli eventi più attesi di questo periodo, per antonomasia il più allegro dell’anno, è il Carnevale di Ottana.
Situato nel cuore della Sardegna, a soli 30 km da Nuoro, questo centro barbaricino di appena 2300 abitanti, oltre che il protagonista, fino a pochi decenni fa, di quel sogno industriale poi svanito con la chiusura del polo petrolchimico, è stato in origine un centro agricolo e pastorale. Proprio con il mondo contadino è profondamente intrecciata la tradizione carnevalesca che la cittadina porta avanti da un tempo ormai immemore e che l’ha resa celebre.
Tutti gli anni, gli abitanti del posto, così come i visitatori che giungono numerosissimi da tutta la regione, attendono il fine settimana che precede la prima domenica della Quaresima per assistere alla sfilata folkloristica di particolarissime maschere che invadono le vie del paese per tre giornate intere, fino al Martedì Grasso.
Si tratta di maschere di legno, con fattezze sia umane che animali, che riproducono figure ancestrali e scene tipiche della vita quotidiana nei campi – dall’aratura al raccolto -, e della pastorizia, con la domatura e morte degli animali. Tra tutte, le protagoniste di queste manifestazioni carnevalesche sono soprattutto tre: i Boes, i Merdules e sa Filonzana.

Intenti a inscenare lo storico contrasto tra uomo e animale, in una lotta continua in cui ognuno cerca di prevalere sull’altro, i Boes indossano una maschera lignea, “sa caratza”, che, come suggerisce il nome, ricorda proprio un bue, con un vestito chiaro in pelle di pecora e dei campanacci sul dorso, mentre i Merdules, con una veste di pelle di pecora, solitamente bianca, e una maschera che raffigura il volto di un uomo vecchio e brutto, si adoperano per cacciare e domare l’animale con l’ausilio di un bastone e, al termine dell’addomesticamento, lo catturano con un laccio di cuoio.
In questa recita, Boes e Merdules vengono sempre accompagnati da un altro enigmatico personaggio che, pur essendo meno conosciuto, svolge un ruolo decisivo per le sorti del conflitto: sa Filonzana (letteralmente la Filatrice), che ha il compito di ordinare agli animali di morire dopo la cattura.
Vestita a lutto, con indosso un maglione e una gonna neri e un ampio scialle che ne mette in risalto la gobba, questa maschera di legno, nera e dall’espressione spaventosa, raffigura una vecchia signora che si aggira lentamente, con un’andatura storta e sgraziata, per le strade del paese tenendo con una mano un fuso e con l’altra una conocchia, costantemente intenta a filare la lana.
Durante le sfilate può minacciare di tagliare con le forbici il filo, invocando così la sventura e la morte per chi non le dovesse offrire un bicchiere di vino. Quel filo non è altro che la metafora del ciclo della vita di ciascuna persona e che sa Filonzana tiene tra le proprie mani, potendone decidere la sorte. Il fatto che compaia nella parte conclusiva della sfilata rappresenta quasi un monito dopo il divertimento che caratterizza la festa. Tutti, infatti, la rispettano e la temono.
Secondo un’antica usanza, pare che sa Filonzana comparisse, inoltre, anche la notte di Capodanno durante le questue, quando accompagnava i giovani di porta in porta a chiedere offerte di denaro, frutta e dolci. Si racconta che la sua presenza consentisse di ottenere ottimi risultati perché tutti si preoccupavano di aprire la porta di casa ed elargire doni pur di evitare le sue maledizioni.

Ma su questa inquietante figura si sprecano superstizioni e leggende risalenti addirittura alla mitologia classica. Si ipotizza, infatti, che la Filatrice non sia altro che l’evoluzione locale delle Moire greche, o delle corrispondenti Parche latine. Figlie di Zeus e Temi, si trattava di tre divinità, raffigurate a volte come delle vecchie tessitrici, altre volte come oscure fanciulle, che stabilivano inesorabilmente la sorte degli uomini, a cui nessuno poteva opporsi. La prima filava il destino della vita, la seconda ne assegnava uno a ciascun individuo, programmandone anche la durata, mentre la terza recideva quel filo determinando la fine dell’esistenza nel momento stabilito. Da qui derivò la tendenza a considerare sa Filonzana la “Parca sarda”.
L’arcano che circonda il macabro personaggio che appare nei cortei di Ottana può però essere almeno in parte svelato. Pur essendo l’unica figura femminile presente non solo in questo carnevale locale ma in quelli dell’intera Sardegna, sorprenderà sicuramente molti sapere che la maschera della Filonzana viene da sempre indossata da un uomo, conseguenza questa di un’antica tradizione isolana secondo la quale alle donne non era consentito prendere parte alle mascherate.